Francesco Lauretta

DUE VOLTE

 

Galleria Giovanni Bonelli | Via Porro Lambertenghi 6

INAUGURAZIONE | Giovedì 20 settembre, h. 19,30

ORARIO | 22 settembre - 20 ottobre 2018 - Da martedì a sabato, 11.00 - 19.00;

chiuso domenica e lunedì - Ingresso libero

 

Francesco Lauretta: l’artista concede il bis

di Marco Senaldi

Per un inveterato quanto illusorio riflesso condizionato culturale, siamo abituati a contrapporre al classico, come regno dell’unicità, il moderno come dominio della replicabilità.

In realtà, niente di meno vero. Come hanno dimostrato autorevoli studi, dedicati alla querelle plurisecolare della cosiddetta Kopienkritik, (come Ellen E. Perry, The Aesthetics of Emulation in the Visual Arts of Ancient Rome, Cambridge University Press, 2005) e intere mostre, come Serial Classic, curata da Salvatore Settis alla Fondazione Prada nel 2015, in cui per la prima volta era possibile vedere insieme le infinite varianti  tratte da un unico modello, come quello dell’Ercole in riposo – il mondo dell’arte antica già formicolava di rifacimenti, copie, repliche e perfino contraffazioni, a un ritmo tale che sembra quasi presagire, più che smentire, il regime della riproducibilità tecnica della nostra epoca.

Da questa considerazione segue che dobbiamo stabilire una netta differenza tra replica o riproduzione, e copia o ripetizione. Noi, orgogliosi e audaci artefici della modernità, abbiamo inventato da oltre due secoli ogni mezzo per riprodurre le immagini, ma è evidente a tutti che la fotografia di un dipinto, o la sua replica mediale, dissipata in mille rifrazioni e su mille schermi, è qualcosa che ha ben poco a che fare con la sua origine. Anche l’immagine più fedele, alla massima risoluzione, perfetta per colore, definizione o formato, è una copia del tutto approssimativa che può tutt’al più fornirci un’idea dell’opera di partenza, ma certo non sostituirsi alla fruizione di quest’ultima. Basta ingrandire un po’ un’immagine elettronica per smarrirsi nei pixel di cui è fatta, così come basta un lentino per scorgere, in qualunque immagine a stampa, la sua trama eternamente uguale, data dal sovrapporsi dei quattro sempre uguali colori, ciano, magenta, blu e nero.

Questa povertà visiva passa quasi inosservata, ma a pensarci bene è la legge stessa che amministra la nostra percezione attuale. Senza neanche saperlo, viviamo in un regime sensoriale dominato dalla trama larga, confezionato all’ingrosso per consumatori dai gusti facili, per non dire dei veri e propri sprovveduti. E quando sentiamo ripetere il mantra secondo il quale ci troveremmo in una sfera mediale irripetibilmente vantaggiosa, avendo il privilegio di assumere più informazioni in un giorno solo di quante ne poteva ricevere un uomo del passato in una vita intera, ci dimentichiamo di aggiungere che si tratta di informazioni scadenti, di bassa qualità, povere e anche modeste, che hanno scarsa presa sulle nostre emozioni e labile effetto sulla nostra memoria.

Una cosa del tutto diversa è invece la copia o ripetizione, o re-enactment, o, meglio ancora, come preferisce chiamarli Francesco Lauretta, i “reanimate”. Quest’ultimo termine mi sembra particolarmente efficace, dato che implica un autentico “tornare in vita”, un rianimarsi dell’originale, il quale, senza questo soffio vitale, sarebbe senz’altro morto. Grazie alla ripetizione, i due oggetti, il quadro primario e il suo rifacimento –  che cronologicamente appartengono a tempi diversi – materialmente e percettivamente stanno sullo stesso piano. Nessuno dei due soffre di un “complesso di inferiorità” verso l’altro, tutti e due si rispettano ontologicamente, ciascuno fa la sua parte e porta a casa la sua quota di esperienza ed emozione.

Si dice che Ingres abbia dipinto non meno di diciotto versioni del suo Paolo e Francesca, (la notizia è riportata nell’interessante saggio di M. Barbanera, Originale e copia nell’arte antica, Mantova 2011), ma quello che dovrebbe colpire di più non è il numero elevato di repliche, quanto il fatto che il tema stesso del quadro – gli amori di Paolo e Francesca appunto – non solo non è originale, ma è la metafora stessa della forza di suggestione dovuta a una replica, in questo caso la versione letteraria del “quadro” di Lancillotto e Ginevra, che a sua volta fa innamorare fra loro Paolo e Francesca. Potenza dell’imitazione! La sua forza consiste proprio in questo: nella capacità di creare una reazione a catena, che si tira dietro l’originale, non lo lascia solo e muto, lo toglie dal suo autismo iconico, lo “trae a verità” facendolo riflettere su se stesso, mostrandogli, come in uno specchio incantato, il proprio futuro.

Quello che ho capito vedendo Francesco al lavoro nel suo studio è che, mentre la riproduzione, che obbedisce a un’universale istanza di deprivazione e impoverimento, è destinata a desertificare la rigogliosa vegetazione delle sue fonti, la copia è un vero “reanimate”, un dispositivo di rianimazione. E’ una procedura che possiede una straordinaria capacità di fertilizzazione in grado di rinvigorire l’originale da cui discende. Una volta fatta una copia, anche l’originale cambia statuto, si libera dalla sua soffocante unicità, inizia a muoversi, si moltiplica o persino acquista quelle dimensioni virtuali che prima gli erano precluse. Davanti a quadri come München, Idola, o Il quadro più bello del mondo, non solo non si perde un atomo di informazione, ma si guadagna la consapevolezza di osservare qualcosa che è “tornato” a farsi vedere.

Non appena si tocca il tema della replica, tutti corrono con la mente all’esempio principe di tutte le repliche possibili o impossibili, cioè il celeberrimo racconto di J. L. Borges “Pierre Menard autore del Don Chisciotte”, che, come si sa, narra le vicende di un oscuro autore francese che si dà a riscrivere, parola per parola, il Don Chisciotte di Cervantes, scoprendo che il significato di ogni frase, materialmente identica all’originale, cambia radicalmente nel contesto moderno in cui è collocata. La fama del racconto non è solo dovuta al fatto di costituire un prezioso fil rouge per orientarsi nel babelico labirinto della meta-narrativa borgesiana, ma anche perché è la metafora perfetta del rapporto moderno nei confronti del passato, verso cui tendiamo ad assumere la deferente attitudine di copisti imperfetti. Tuttavia, ci si dimentica spesso di ricordare il dettaglio più importante, che si colloca al di là del valore letterario del racconto: esso infatti venne pubblicato sula rivista argentina d’avanguardia SUR nel maggio 1939, come se fosse la recensione di uno scrittore reale, e così fu accolto dai suoi, pur avveduti, lettori. Borges cioè, aveva utilizzato la cornice rispettabile della rivista intellettuale per mettere in atto una beffa mediale giocata appunto sulla dialettica tra novità e ripetizione. Egli stesso, in un’intervista di molti anni dopo, amava ricordare che il suo amico Ernesto Palacio, per non mostrarsi disinformato, sosteneva di avere già avuto notizie di Pierre Menard! Omettendo di dichiarare pubblicamente che il suo personaggio era frutto di un’invenzione, Borges ottenne il risultato che “molti presero sul serio [il racconto] perché non si pensava a me come a un narratore”: in altre parole, presero talmente per nuova l’operazione di Menard, da arrivare a credere, come Palacio, che fosse un “déjà vu”, dimostrando implicitamente la potenza seduttiva, creativa, innovativa della “ripetizione”.

Conosco Francesco Lauretta da molti anni, fin da quando tenne la sua prima mostra da Marco Noire a Torino nei primi anni ‘90, ma mi ha sempre colpito il fatto che nella mostra successiva, Destinazioni, del 1993, nei due spazi di Noire e di Franca Recalcati, egli avesse esposto, tra le altre opere, due “fotocoppie”, cioè due copie di due dipinti famosi, il Cristo morto di Mantegna e La grande guerra di Magritte, traendole da due fotocopie.

Credo che questo modalità espressiva si colleghi direttamente a questa mostra, Due volte, per molti aspetti. Come il Menard borgesiano, anche Lauretta ha frequentato la dimensione della ripetizione, intesa sia come procedura culturale che come verifica delle differenze (nelle fotocoppie alcuni dettagli dell’originale erano stati alterati, il Cristo non aveva le stigmate, l’Uomo di Magritte aveva il volto davanti alla mela, ecc.). Ma con questa mostra il suo obiettivo si fa decisamente più ambizioso: qui si è inventato un dispositivo di attivazione dell’originale che dà un senso del tutto diverso non a questa o quella opera del catalogo mentale a cui tutti più o meno facciamo riferimento, ma alla sua stessa pratica artistica.  Ciò che qui vediamo, dato che in molti casi (o almeno, questo è il caso mio) non abbiamo mai visto l’originale del pittore, è una seconda volta di quadri che vediamo per la prima volta. E non è una seconda volta qualunque – ma un rifacimento in piena regola, che comporta le stesse promesse, le stesse difficoltà e le stesse aspettative dell’originale. Francesco mi ha assicurato che non usa strumenti fotografici o apparati tecnici per realizzare questi suoi doppi, solo (per quanto possa apparire incredibile) la memoria e la sua mano.

Ma il risultato è strabiliante lo stesso: l’immagine del quadro che vedete sull’invito è quella del quadro originale e della sua copia, tagliati, ribaltati e ricomposti come una carta da gioco. Il quadro e il suo doppio sono così simili da essere in pratica perfettamente sovrapponibili – eppure sottilmente diseguali, dettaglio che li rende, come due che si amano, “fatti l’uno per l’altro”. Grazie a un meticoloso processo di ripetizione, Lauretta non cancella, ma anzi esalta la differenza, riuscendo nell’impresa di diventare, per così dire, il Menard di se stesso.

Benché quest’abilità inverosimile potrebbe da sola bastare per collocarlo fra i migliori pittori della sua generazione, la sua operazione si esaurirebbe in un gioco di virtuosismi fine a se stesso se ci limitassimo a osservarne i risultati appesi alle pareti. Ma non bisogna dimenticare che, fra i mentori che ne hanno determinato il destino, il nostro artista può vantare due personalità d’eccezione, quali Emilio Vedova, suo maestro all’Accademia di Venezia, e James Lee Byars, con cui ebbe, sempre a Venezia, un magico incontro. Sebbene si tratti di due figure apparentemente molto diverse fra loro, si potrebbe quasi dire che esse si completano a vicenda: Vedova, l’ultimo degli informali, ha interpretato la pittura come un’azione performativa; mentre Byars, l’ultimo dei performers, ha sviluppato una poetica dell’azione basata su un’attenzione spasmodica ai valori visivi e pittorici.

Francesco ha saputo fondere questi insegnamenti in un percorso che, un po’ come le sue straordinarie sculture di frammenti di ceramica, sbriciolati e riuniti, ci ha messo tanto tempo a distillarsi, a frantumarsi e a ricomporsi. Tutta questa esposizione, nei suoi episodi singoli e nella sua interezza, infatti, ha tanto a che fare con la pittura come linguaggio espressivo, quanto con il gesto della ripetizione come atto performativo. E’, insieme, la più classica delle mostre di pittura e la più sovversiva delle performance che si possano immaginare.

Essa è, veramente, la sua seconda volta, e anche la nostra: è un annuncio miracoloso, profondamente ottimista, e ci dice che siamo arrivati inaspettatamente al momento giusto. Ci mette di buon umore come quando pensavamo di aver perduto lo spettacolo, e invece scopriamo che c’è stata una proroga, ci sarà una replica, siamo ancora il tempo.

C’era sfuggita la prima volta? Niente paura: l’artista concede il bis.

 

Cit. in J. L. Borges, Tutte le opere, 2 voll., Mondadori, Milano 1984-85; vol. 1, Introduzione di D. Porzio, p. LXXXVIII.

 

INFORMAZIONI T. 02.87246945 - www.galleriagiovannibonelli.it

info@galleriagiovannibonelli.it


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IDIOTI

 

Galleria Giovanni Bonelli | Via Porro Lambertenghi 6

INAUGURAZIONE | Giovedì 22 giugno, h. 19,00

ORARIO | 22 giugno - 29 luglio 2017 - Da martedì a sabato, 11.00 - 19.00;

chiuso domenica e lunedì - Ingresso libero

 

COMUNICATO STAMPA

Dal 22 giugno al 29 luglio 2017, la galleria Giovanni Bonelli di Milano (via Porro Lambertenghi 6) ospita Idioti, il progetto espositivo firmato da Francesco Lauretta.

La mostra presenta le opere di quattro artisti - Maurizio Cannavacciuolo, Fulvio Di Piazza, Marco Pace e lo stesso Francesco Lauretta - geograficamente distanti, ma uniti dalla comune dedizione alla pittura e ai suoi tempi peculiari.

Come scrive il curatore-artista, “Quando ho pensato ai pittori possibili da invitare ho pensato subito ad artisti che bastano a se stessi, non sottomessi a nulla, alla loro singolarità (…) Questi artisti sono artisti dolci, cresciuti responsabilmente e in completa beatitudine in spazi del silenzio, della solitudine, della quiete (…)”.

A ognuno di essi è dedicata una parete, con l’aggiunta di un neon “introduttivo”, sulla quale gli autori possono esprimersi in totale libertà, senza seguire un tema pre-ordinato.

Il risultato è un percorso di circa una ventina di opere che si articola come un racconto per creare “un’opera totale” che possa esser vista ma anche ascoltata e apprezzata in momenti successivi - dei cd messi in appositi totem, ad esempio, renderanno concreti i riferimenti musicali dei vari artisti.

In merito al titolo della mostra il curatore ricorda che “per Deleuze essere un “idiota” significa semplicemente non sapere quello che tutti sanno o quanto meno non darlo per scontato (…) L'idiota, che non dà nulla per scontato, è forse una delle persone più rivoluzionarie di sempre (…)”.

 

INFORMAZIONI T. 02.87246945 - www.galleriagiovannibonelli.it

info@galleriagiovannibonelli.it


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QUASI EUFORIA

 

Egg Visual Art | Contemporary Art Association | Via del Platano 10 - Livorno

INAUGURAZIONE | Sabato 29 ottobre 2016, h. 18.30

ORARIO | dal 29 ottobre al 29 novembre 2016 - Per appuntamento: +39 329 2938433

 

COMUNICATO STAMPA

Euforia (Quasi) viene non per caso dopo molti anni di rifondazioni

Entrare dentro Euforia è come lasciarsi osservare dalle immagini o dalle visioni che paiono sgretolarsi da un momento all’altro. Una collana di opere si spiega davanti a noi con l’euforia di quanto possiamo declinare o definire le cose del mondo vivente, poi sopravvivente, reperto, e infine miracoloso inizio o ricominciamento.

Le ragazze al Giardino delle rose sembrano fantasmi, incerte se accomodarsi o lasciarsi intravvedere nello spiraglio del quadro dell’osservante. Una processione sembra ribollire d’anime domate. Una squadra di calcio amatoriale è in posa prima di iniziare la partita che è già stata giocata, svanita, memento. Una statua si erige

nello splendore rigoglioso di una natura che pare essere unica destinataria del tempo, come il turchese dominante del paesaggio dove compare James Lee Byars, che si fa spettro di un momento unico e performativo, e come tale rimane impresso in un luogo sterminato, in un futuro consegnato grazie alla pittura densa e macchiaiola tanto da rivisitarlo, o da farci rivisitare da lui, ogni volta che vi posiamo lo sguardo: tra lui e noi, noi e lui. La realtà è osservata, mostrata ma sempre come qualcosa che ci pare irreale. Vedere questi quadri attorno a noi è come stare su una soglia, ci si può scivolare dentro, dall’altra parte, e la strana sensazione è come se i quadri, le opere, tenessero un occhio chiuso e aperto l’altro. Euforia è un impegno deformato del nostro sentire. Tutto è niente, giorno per giorno, nei secoli dei secoli, visibile e invisibile. Tutto sembra la stessa cosa, qualcosa ci salva ma è sfuggente: l’Euforia Quasi. Tutto pare prossimo a svanire e sembra regnare l’oblio in questi quadri, piccoli quadri poetici che hanno qualcosa di incompiuto, abbozzi se non fosse che la pittura stessa si mostra nel suo sforzo di esistere, di durevole consistenza. Entrare in mostra è come entrare in una vasca, lasciarsi avvolgere pittoricamente da un’atmosfera. C’è una fragilità della condizione umana, fragilità fondante qui. Sono dipinti, questi, che ci invitano a sostarci davanti, che non ci riempiono del tutto, c’è preclusa quella sottile euforia

smussata da quel Quasi del titolo, e in quel ‘quasi’ si svela la nostra esistenza spettrale. La cornice, dello spazio e dei quadri, è la congiunzione luminosa dell’esistenza e delle inesistenze, i confini che separano l’essere dal non essere sono incerti, i recinti saltati. Quasi euforia è come la definizione stessa della pittura. La realtà pare dolce, pacata, dolente, terribile meditazione che ci parla di vuoto, ci riempie di presenze spesso sconosciute. Questi quadri sembrano fissare gli spazi bianchi dello spazio, fissare il nulla, senza farci inghiottire. Tenere testa all’orrore del vuoto contemplandolo spassionatamente e con la quasi euforia, sospesi quasi su un abisso, vedere queste opere, è come familiarizzare col nulla, strusciarsi col baratro attraverso la dolce e terribile ipnotica vista della pittura. E una Quasi euforia colma il quadro e l’intera installazione, e ci raggiunge escludendoci dal futuro: Euforia, qui, di stare in mezzo a una eternità provvisoria.

 

www.eggvisualart.com - www.facebook.com/eggvisualart


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ESISTENZE / INESISTENZE

 

Spazio V.AR.CO Verdiartecontemporanea | Via Verdi, 6/8 - L'Aquila

INAUGURAZIONE | Giovedì 3 marzo 2016, h. 18.00

ORARIO | dal 4 al 25 marzo; venerdì, sabato e domenica dalle 17.00 alle 20.00

 

COMUNICATO STAMPA

Francesco Lauretta scopre V.AR.CO. e V.AR.CO scopre Francesco Lauretta. All’Aquila, giovedì 3 marzo dalle ore 18.00, presso V.AR.CO. si agisce sul filo della dualità e del mezzo d’indagine volto alla scoperta e alla successiva negazione. “Con questa mostra cerco di spiegare, e cioè estendere, mostrare e nascondere, quel processo parte di un progetto ormai gettato in avanti dopo la trilogia di Esercizi di equilibrio, Una nuova mostra di pittura e Inesistenze, che spiega la necessità di progettare un futuro, o mondo futuro che abbracci opposti, e li annulli”. Esistenze|Inesistenze è un percorso espositivo espanso con diverse modalità espressive proprie dell’artista quali: la pittura, il disegno, il racconto audio e lo spolvero pensati sia per lo spazio che per la realtà nella quale V.AR.CO. si alimenta.

“A L’Aquila accedo realizzando un lavoro sospeso, sopra le nostre teste e sotto i nostri piedi. Gli spazi vuoti sono agiti da una presenza scura e pesante. Il soffitto del soppalco che abita tutto lo spazio Varco è dipinto di un colore bruno dove stanno fissati con dello scotch colorato alcuni disegni, I terribili disegni della morte; sopra il soppalco invece un salotto, appositamente allestito, ospiterà gli spettatori che potranno ascoltare i cosiddetti I racconti funesti, 37 racconti brevi che parlano di esistenze e inesistenze, opera audio, una scultura filodiffusa nello spazio: Sopra è come stare sospesi tra nuvole e abisso. Un piccolo spolvero infine, Final, e un piccolo quadro, Tutta la stanza tintinna avvisano la sottile e Nostra esistenza: Fino a quando ho un’idea nascerò di nuovo.”

Questa prima personale è stata resa possibile grazie al sostegno della Fondazione Carispaq, Raffaelle Panarelli, Melfi Costruzioni, Metania e della asd MACO L’Aquila C5 sponsor tecnico.

 

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A PERFECT DAY

a cura di Pietro Gaglianò

 

SRISA Gallery of Contemporary Art

Santa Reparata International School of Art
Via San Gallo 53r, 50129 Firenze
www.santareparata.org/gallery/gallery_home.html

INAUGURAZIONE | Giovedì 11 febbraio, ore 18.30

ORARIO | la mostra rimarrà aperta fino al 19 marzo 2016 / February 12th - March 19th 2016. Lunedi-venerdi 10:00 – 21:00 / mon-fry 10:00 am – 9:00 pm

 

COMUNICATO STAMPA

Francesco Lauretta satura lo spazio della galleria con gli esiti della sua ricerca più recente: oltre dieci opere, tra olio su tela e spolvero su parete, in parte pensate espressamente per questo progetto. La mostra viaggia tra visioni solatie e memento mori, con il passo di una meditazione filosofica che nella rappresentazione del visibile, del quotidiano, del luminoso
tenta la ricerca di un’interpretazione dell’esistenza. "A Perfect Day" nasce nelle giornate estive, nelle perfette giornate di sole sulla riva del mare, e matura nella mostra che qui si propone in un dialogo serrato con il mezzo della pittura: che per Lauretta è il luogo della sfida e il limite lungo il quale si presenta il rischio del fallimento. “Una mostra così potevo concepirla solo adesso”, scrive l’artista, “irradiato e senza limiti mi espongo come uomo libero, uomo dedito alla lieve euforia che riconosce nel tedio, nell’estatica inutilità verso ogni cosa la libertà, nell’essere l’uomo più inutile del mondo che s’apre nella sublime inattività dentro di sé”. 
Ed è questo "A Perfect Day", è il paradosso che prende forma: vedere l’invisibile e negare l’inevitabile.

Francesco Lauretta (Ispica, Ragusa, 1964) dopo la formazione all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Emilio Vedova, ha sperimentato la performance, l’installazione, il video. Dal 2003 lavora alla definizione della pittura come linguaggio e su quella del pittore come condizione esistenziale, esplorando le tecniche, i processi, gli esiti formali, le deviazioni, i limiti e i possibili fallimenti.

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Francesco Lauretta has decided to saturate the gallery space with the results of his recent visual research and is exhibiting more than ten artworks that combine oil on canvas with “spolvero" (an old transfer technique) on the wall. The project was conceived expressly for this exhibition and includes sunny landscapes and "memento mori" with the rhythm of a philosophical meditation that resembles an interpretation of life through the representation of visible, bright, daily existence. 
In "A Perfect Day” the artist takes sunny summer days - those perfect days by the sea - as a starting point from which to develop a body of painted work that has matured into the present exhibition. Painting is, for Lauretta, a great challenge and a place to risk the possibility of failure. The artist says: “Only now am I able to conceive of such an exhibition. Enlightened and without limits, I expose myself as a free man, as a man devoted to that slight euphoria that recognizes the freedom in the tedium, as a man, a rather impractical one, who opens himself up to a hidden and sublime inactivity". 
"A Perfect Day" is this: a sublime paradox that takes form and attempts to see the invisible and to deny the inevitable. (PG)

Francesco Lauretta, (Ispica, Sicily, 1964), studied at the Accademia di Belle Arti in Venice with Emilio Vedova. He experimented performance art, installation and video. Since 2003 he works at painting, looking for the meaning of such a language and for the role of the painter as an existential condition.

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INESISTENZE

 

INESISTENZE

 

z2o Sara Zanin Gallery | Via della Vetrina 21, Roma

OPENING con PERFORMANCE | Giovedì 28 maggio 2015, h. 18.00-22.00

DURATA | 28 maggio / 31 luglio

 

COMUNICATO STAMPA

"L’ inesistente è qualcosa che ha respirato, seppur nell’invisibile, che abbiamo visto e che non abbiamo conosciuto o se abbiamo conosciuto è perché abbiamo fatto parte dell’inesistente noi, o forse perché anche noi siamo inesistenze.

L’inesistente se è avvistato è doloroso.

E se è inesistente è gaudio”.

(Senza Senso, Francesco Lauretta)

 

z2o Sara Zanin Gallery è lieta di presentare la prima personale dell’artista Francesco Lauretta negli spazi della galleria.

Inesistenze è una mostra di fantasmi, presenze assenze che sfuggono a una definizione ma che risultano terribilmente riconoscibili.

Il termine fantasma deriva dal greco phantàzo, significa “mostrare”, quindi l’idea dell’apparire come manifestazione di una presenza incorporea, generalmente accostata ad un sentimento di timore.

La vita e la morte, quindi l’esistente e l’inesistente, sono le due frontiere entro le quali la mostra si snoda, in un incedere vorticoso e nebuloso, nel quale i confini non impongono un limite ma si confondono tra loro. La sensazione di turbamento e smarrimento è affidata alla continuità dell’inesistente nell’esistente e all’ impossibilità di stabilirne una netta e rassicurante separazione.

La ragione vacilla quando è incapace di nominare e definire, quando non è più possibile distinguere e classificare; è allora che si fa appello all’inesistente per vedere e comprendere.

Nella prima sala si trova una teca che giace a metà strada tra una culla e una bara, una nascita e una morte, dentro di questo compare un volto, dormiente o morente, il velluto blu riveste le pareti come una gonnellina materna e come la fodera interna di una bara.

L’ingresso interroga il significato della forma, anzi la forma è proprio un’interrogazione sulla forma che si risolve in un significato divagante e sfuggente (Francesco Lauretta)

La seconda sala ospita un televisore sintonizzato sul programma televisivo I fatti vostri. Sulla superficie dello schermo il nastro adesivo ritaglia un volto che si sottrae, nella sua fissità, all’ingorgo delle immagini prodotte dalla civiltà della sovrapproduzione. Il nastro raccoglie la pittura in esubero delle tele, ovvero è quello scotch conservato che l’artista utilizza per 'dare perimetro' ai quadri. Tutto quanto si deposita, deborda, e si fa esubero, viene raccolto, conservato e disposto a fitte strisce, venendo a creare una tensione rimandante a qualcosa d’altro, traccia dell’invisibile che completa.

Lo scotch sfugge e sorvola la monocultura del Medium, come l’arte che rifugge i circuiti nei quali molti vorrebbero costringerla.

Nel soffitto si erge un disegno rosso, un cosmo nel quale i vivi e i morti stanno assieme, dove tutto è in moto e si rigenera in ogni istante.

Un’ambiguità domina la seconda stanza, temporale e spaziale, o più correttamente propriocettiva (Francesco Lauretta)

Uno spolvero, un paesaggio di terra d’ombra naturale quasi invisibile circonda la terza sala della galleria. Le piccole lapidi espandono lo spazio verso l’invisibile, invitando all’altrove.

Un quadro, dalle fattezze di un clavicembalo, presenta un corteo funebre adornato con fiori: è il funerale di Francesco Lauretta. A lato, su una pedana rossa si esibisce la Musa, una body builder mette in atto un processo di autotrasformazione del soggetto, facendo rivivere le pratiche ascetiche (non religiose) dell’esercizio: può infatti aumentare le forze spontanee che danno all’individuo la possibilità d’essere se stesso.

La terza sala, se mossa e in movimento, è una mostra che si dissolve in poesia (Francesco Lauretta)

 

INFORMAZIONI

z2o Sara Zanin Gallery – Via della Vetrina 21, 00186 Roma
da martedì a sabato 12:00 - 19:00 (o su appuntamento), ingresso libero

T +39 06 704 522 61 - info@z2ogalleria.it - z2ogalleria.it

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UNA NUOVA MOSTRA DI PITTURA

A cura di Daria Filardo

UNA NUOVA MOSTRA DI PITTURA

 

SITE ART | Via Catena 20 | Scicli

PALAZZO BENEVENTANO | Scicli

SITE MILL - Mulino San Nicolò | Via Nazionale 55 | Scicli

 

OPENING
giovedì 7 agosto 2014 / H.21:00

ORARI

Gli spazi gestiti da SITE SPECIFIC saranno aperti da mercoledì a domenica, dalle 18:00 alle 23:00. Su appuntamento telefonare a Francesca Vinci Mortillaro:+39 327 88 35 695

INFO MOSTRA

La mostra sarà visitabile presso SITE MILL, SITE ART e PALAZZO BENEVENTANO dall' 7 agosto al 7 settembre 2014

 

COMUNICATO STAMPA

SITE SPECIFIC presenta UNA NUOVA MOSTRA DI PITTURA, una "processione" nell'arte di Francesco Lauretta.

Immagini, visioni e riflessioni sulla pittura invadono tre diversi spazi della città di Scicli: SITE ART, Palazzo Beneventano e SITE MILL.


SCICLI - Giovedì 7 agosto alle ore 21:00, SITE SPECIFIC inaugura a Scicli la nuova personale di Francesco Lauretta, Una nuova mostra di pittura. Il progetto si articola in tre diversi spazi cittadini SITE ART, PALAZZO BENEVENTANO e SITE MILL e propone una riflessione sulla natura generativa e immaginifica della pittura.

L'artista ci svela un progetto lungo una vita, ambizioso, e cioè quello di poter attraversare la pittura demolendo, ricostruendo e infine redimendo il medium stuzzicandoci già col titolo dove la parola “nuovo”  dice la necessità, feroce, di poter modellare e ridefinire una chance per l’obsoleta pittura, come a voler aggiungere millimetri al passo e alla sua esistenza, dopo tutto, spostandosi come un funambolo e formando quasi un itinerario, una processione, in alcuni spazi della città di Scicli. Lauretta esordisce così con un corteo funebre, un funerale che attraversa le due stanze budello della galleria Site Art, un attraversamento e ostacolo all’osservatore che è costretto quasi ad urtare sia fisicamente, e idealmente, l’opera, una processione (come a ricordarci quel Cacciatore Gracco di K.) pare portarsi avanti e indietro nel tempo coinvolgendo tutti noi a riflettere della destinazione che potremmo estendere su ogni cosa, l’umano e inumano, le opere e le cose. Generare la pittura è l’ambizione di Lauretta con una prolifica indistinzione di generi come a superarne la rigidità cadaverica con il permanere dello “stile” univoco e stabile e lo fa inseguendo il costante flusso del corso tipico della condizione umana, progettando. Così uscendo dal primo spazio è possibile informarsi sul processo disseminato nei vari punti della città. A Palazzo Beneventano ci si può imbattere su un’area distesa sul pavimento, Terra, solcata dallo scotch impregnato di baffi di colore che l’artista ha raccolto col tempo, scarto di pittura in esubero che in qualche modo ha dato “perimetro”  ai quadri dove la “pittura ballabile” invita il pubblico a godere di un momento assai caro all’artista che da sempre si veste di stimoli musicali  in questo caso esibiti per far danzare tutti. E in questo clima di festa che si può andare, poi, a Site Mill, il Mulino di San Nicolò, dove la pittura è distesa, completamente, su e giù nello spazio, suggestivo. Due teche mostrano tutte le opere pittoriche di Lauretta: circa 120 quadri riprodotti su piccole cartoline o, meglio, su carte della grandezza delle carte da gioco, sono disposti come a far “memoria”, passo indietro verso il passato, ma anche come suggerimento del nuovo.

Questi sono solo alcuni degli spunti che Lauretta offrirà e che insieme a molti altri percorsi che la pittura ha attraversato nella sua ricerca ci portano dentro una processualità densa. In uno spazio esterno, nel giardino di Site Mill ci accoglie un'installazione sonora, I racconti funesti, vere allegorie narrative sullo stato di salute della pittura, chiudono e aprono gradevoli opportunità di riflessione sull‘esistenza. Alla fine del corso si ha l’impressione che Lauretta stia trascorrendo tutta la vita come a dipingere un unico e solo quadro.

Site Specific conferma l'impegno per lo sviluppo dell'arte e prosegue instancabile con la creazione e la sperimentazione di nuovi progetti. Con Una nuova mostra di pittura si conferma l'impegno e la volontà di rendere sempre più vivace il fermento artistico che sta invadendo la città di Scicli.

Francesco Lauretta

Nato ad Ispica (Ragusa) nel 1964, Francesco Lauretta, dopo aver intrapreso degli studi tecnici vani, si trasferisce a Venezia dove frequenta l'Accademia di Belle Arti, seguendo i corsi del maestro Emilio Vedova; lì si diploma nel 1989, nel ‘91 si trasferisce a Torino, e ci resta fino al 2008, anno in cui si sposta a Firenze, città dove tutt’oggi vive.

Non è facile circoscrivere il lavoro di Francesco Lauretta, artista pluridisciplinare, restio a definirsi “semplicemente” pittore.

Per raccontare un po’ la sua storia partiamo dagli anni piemontesi; è in quel periodo che entra in contatto con gli artisti dell'Arte Povera, si avvicina ai loro linguaggi e approda alla realizzazione di alcuni lavori installativi. Le prime opere “bianche”, le sculture monumentali e i mobili destrutturati hanno un sapore quasi minimalista, e gli aprono la strada verso l’approccio partecipativo e coinvolgente nei confronti del pubblico, che manterrà sempre. Inizia anche a lavorare con il testo, ed espone lettere e scritti. A partire dal 1992 comincia a riflettere sulle possibilità della pittura e realizza la prova di un primo quadro…

Questi primi “esperimenti”, definiti "fotocoppie", venivano eseguiti copiando minuziosamente - con colori ad acqua, in bianco e nero - vere e proprie fotocopie di opere note di maestri classici e contemporanei, come Duchamp, Magritte e Mantegna; poche opere, oggi cancellate, che hanno dato il via alla condizione di pittore che gli si rivelerà definitivamente nel 1999, anno della sua prima vera mostra personale.

Nel 2003, di ritorno da un breve viaggio in Sicilia, si dichiara pirandellianamente pittore, e da quel momento approfondisce il tormentato rapporto con questo medium.

La sua pittura inizia a diventare fortemente emotiva; le sue visioni si riempiono di immagini mutuate dalla tradizione: le feste di paese, i Santi portati in processione, le bande musicali, i dolci tipici presentati quasi come ex-voto, e ancora scene bucoliche e frammenti di esistenze vissute semplicemente, di cui riusciamo a cogliere odori, rumori e sapori, ma in cui l’artista pone l'accento non tanto sulla mera rappresentazione, quanto sulla costruzione e sulla significazione di essa.

Una pittura che nella sua riconoscibilità spiazzante, nella sua indole iperrealista, viene avvolta da molteplici accezioni, profonde e concettuali, che esprimono il valore sacro della vita, e che diventano testimonianza dell’incertezza del destino di ogni cosa, dove si riflette  la perfezione e la fragilità della nostra temporaneità.

Negli ultimi dieci anni ha anche realizzato molti video, a volte grotteschi, spesso divertenti, rigorosamente in dialetto, con sottotitoli in inglese, che prendono spunto e aprono riflessioni sui luoghi comuni degli artisti, e sui rapporti marginali tra arte e territorio.

Si è fatta inoltre sempre più presente l’esigenza dello scrivere; raccontare, appuntare, testimoniare. "I racconti funesti", ad esempio, sono una “raccolta” di allegorie, in cui l’autore spiega l'opera nella sua costruzione tout court, in un processo totale, che passa dal disegno alla pittura, per espandersi nel video, nella scrittura, nella performance.

 

PARTNER / SPONSOR

Manager Salvino Giunta di Banca Mediolanum

Ceramiche Esagono

Ciasam

CioMod

Enoteca Sommelier di Lorenzo Giannone

Fire Holding / Renewable Energy

GR Costruzioni s.r.l.

La Luce di Marletta Salvatore & C. (s.n.c.)

Restart s.r.l / Impresa di Costruzione Candiano

Rometta Tappezzeria

Spazio + / Arredamenti s.r.l.

Site Specific ringrazia Emanuele Giunta, la Famiglia Pacetto e Viviana Pitrolo per la collaborazione, la sensibilità e il sostegno nei confronti dell'arte.

Inoltre ringrazia la famiglia Sgarlata-Piccione per la gentile concessione dei bassi dell'incantevole Palazzo Beneventano, uno dei monumenti barocchi del '700 più significativi e più originali di tutta la Sicilia.

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Sasha Vinci | Direzione Artistica | T. +39 380 51 34 687 | sasha_vinci@yahoo.it

Marilina Buscema | Cultural Manager | T. +39 327 83 84 089 | marilinabuscema@gmail.com

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Maria Grazia Galesi | Coordinamento | mariagrazia.galesi@gmail.com

Ufficio stampa MediaLive | info@medialivecomunicazione.com

 

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ESERCIZI DI EQUILIBRIO

 

Esercizi di equilibrio

 

GAM - Galleria d'Arte Moderna, via Sant'Anna 21, Palermo
Vernissage: venerdì 6 dicembre 2013 ore 19

Apertura
7 dicembre 2013 / 10 febbraio 2014

 

Si chiama “Esercizi di equilibrio” la mostra personale di Francesco Lauretta che sarà inaugurata venerdì 6 dicembre alle ore 19.00 presso le sale della Galleria d’Arte Moderna di Palermo adibite alle esposizioni temporanee, recentemente intitolate ad Andrea Di Marco.

La mostra - realizzata con il patrocinio del Comune e l’Assessorato alla Cultura della Città di Palermo, in collaborazione con l’associazione ArsMediterranea e la galleria RizzutoArte - sarà visitabile fino al 10 febbraio.

Prosegue così alla GAM di Palermo il ciclo di mostre personali dedicate ad alcuni tra i più interessanti artisti siciliani delle ultime generazioni. Esercizi di Equilibrio è un’opera unica, una grande installazione che si struttura lungo gli spazi espositivi della GAM. L’esercizio è ascetico perché punta su un’altra vita, ad un’avanzata o impennata “spirituale”. La mostra nell’insieme è una acrobazia performativa dove avviene un effetto di pensosità che impegna a plasmare la propria soggettività tramite l’esercizio, un esercizio e una cura su di sé.

Francesco Lauretta, tra i più talentuosi artisti italiani di media generazione, concepisce una mostra che va letta come una scrittura articolata e compatta, un testo narrativo, una sceneggiatura teatrale scandita in tre atti. Sono le immagini a ricamare una scrittura distesa su più livelli, le opere che sono chiamate “Esercizio” (I, II, III, 0, 00, …) - sono nate e sviluppate col tempo, e col tempo continuano a crescere tramite e incessante fitness.
L’iter espositivo si articola attraverso tre ambienti. La stanza centrale è l’origine. La scritta a parete “Prendevo la luce e la fatica di salire e scendere per il paese come una benedizione” ci introduce nel cuore della mostra. Una teca conserva due libri stampati in unica copia, “La madre” e “Perla”, genesi d’amore di una lingua femminile e maschile ed assieme alla tela “Gran Madre” espandono come da un vortice la vita.
Dal nucleo centrale verso l’ingresso si trovano due quadri e una lunga parete dipinta di un caldo arancio e un video in cui i fuochi d’artificio si esauriscono e sbocciano di colore, muti. I due dipinti mostrano scene “pastorali”, sono luoghi dove l’uomo e la natura si mostrano grandi. Nella parete “arancio” alcuni fogli esibiscono i cosiddetti “Esercizi spirituali”, opere su carta, pencolante, specchio di una riflessione profonda e impegno straordinario di una pratica dell’inquietudine che non coincide con un lasciarsi andare. La terza sala, la più grande, è uno svolazzo di disegni. Sono grandi disegni blu e di carminio, obliqui, sotto gli archi. E il disegno, meglio della pittura, come medium è metafora e non smette mai di cominciare. Sono pezzi d’amore nel cosmo, sempre nuovi, in cui si sente la tendenza a non voler finire.

La mostra è arricchita da contributi testuali e creativi di Claudio Cinti, Luigi Grazioli, Angelo Rendo e dalla realizzazione di montaggi audio/sonori di Marziano Francesco Valentino Fontana,  ed è  realizzata con il supporto di Elenka e della Banca Don Rizzo.

Il catalogo della mostra con testi di Leoluca Orlando, Francesco Giambrone, Antonella Purpura, Angelo Rendo, Luigi Grazioli, Claudio Cinti, Francesco Lauretta, è edito da Afa Editore.

 

GUARDA L'INTERVISTA

 

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Stare fuori, frammento di un discorso amoroso

a cura di Lorenzo Bruni

 

 

EX MARMI, via Nazario Sauro 52, Pietrasanta
Opening: sabato 7 luglio 2012 ore 18.30

Apertura
7 luglio 2012 / 15 agosto 2012

 

Conversazione tra Lorenzo Bruni e Francesco Lauretta attorno alla mostra Stare fuori

1- LB: Le scene che caratterizzano i quadri presenti nella mostra dal titolo “stare fuori” a Ex Marmi a Pietrasanta sono porzioni ravvicinate di mondo: una panchina con dietro di sé un paesaggio cittadino che emerge dagli alberi, un uomo di spalle che all'interno di un antico cortile osserva un affresco la cui superficie è quasi irriconoscibile per colpa del tempo, una figura giovanile non ben identificabile che sulle scalinate di un edificio da “tipica architettura di servizio per la periferia di città” (forse una scuola) osserva un ipotetico paesaggio che ci è dato solo immaginare, un salone ricco di suppellettili e oggettistica decorativa stratificata nel tempo. Perché questi soggetti?

1- FL: Sono partito dall’idea di comprendere il frammento romanticamente, formare una specie di trionfo economico concentrando il massimo del significato nel minimo spazio. Le opere esposte sono frammenti, sono state pensate come isole e lo spazio che le abbraccia, lo spazio bianco, idealmente vuoto, è spazio che dà vertigine delle possibilità. Le scene esposte non riproducono il mondo ma lo sostituiscono. Sono immagini che dimostrano come la comunicazione piegata sul proprio io in una specie di isolamento soddisfatto si riverbera in spazi dilatati che non saprei definire bene, della totalità e oltre, forse? Non so. So però che osservando questi spazi si sente l’avvenire di molte altre cose. Un’intuizione ardita del romanticismo questa, la fabulizzazione del reale attraverso il frammento rende assoluta la comunicazione.

2- LB: Queste opere sono una riflessione che vuol corrodere dall'interno il genere stesso della pittura di paesaggio? Perché?

2- FL: Il paesaggio è pre-testo, con o senza presenza umana mostra una nudità e silenzio che ci dispongono all’attenzione, alla comparsa dell’osservatore. Inoltre l’uomo solo dipinto, isolato, se è vero che si forma come un’isola, come un’isola così assorbito nel paesaggio si trova esposto ai venti, alle correnti, allo sguardo, all’attracco.

3- LB: Si tratta di una riflessione sulla relazione tra orizzonte reale e orizzonte illusorio dell'immagine?

3- FL:. Il referente è illusorio perché quanto si mostra delegittima e contraddice. Nella simmetricità tutto è il contrario di tutto, nulla è il contrario di nulla: il quadro entra nel mondo e compie un’opera di trasformazione e negazione, e sono così esposti perché, così immagino, sono sorgente infinite di nuove realtà a partire da cui l’esistenza non sarà più quella che era.

4- LB: Questi quadri sono tutti caratterizzati da una strana patina sulla superficie. Prima ancora di renderci conto che si tratta di scene che rappresentano scorci di mondo è maggiormente evidente la strana atmosfera che vi aleggia attorno. È una pittura per velature. È una pittura che svela la sua presenza. Perché? Sono quadri autonomi ma che nella mostra creano associazioni tra i singoli quadri proprio come in una quadreria antica. È una riflessione sulla pittura occidentale?

4- FL:  Queste ultime tele sono il frutto dl un profondo esercizio che negli anni ho affrontato per portarmi in forma in quanto “soggetto-che-riesce”. E’ un rivelarsi d’una vita activa, per un’eccellenza o fitness, un’affermazione della performance. E’ normale poi che una condotta votata all’esercizio condizioni il risultato delle esecuzioni successive. Anche per questo mi definisco un ingegnere del medium della pittura.

5- LB: Questa è la tua posizione rispetto al mondo della rappresentazione con cui ti confronti. Se invece dovessi pensare ai soggetti dei tuoi quadri non solo come alter ego dello spettatore/autore cosa penseresti? Pensi di essere un complice dei tuoi personaggi alla Camus o alla Sartre?


5- FL: Una bella galleria di presenze attraversano i miei quadri da un po' di tempo a
questa parte. L'impressione è quella che stia osservando dei morti. O morti che
compaiono in particolari condizioni atmosferiche. Anche i quadri senza figure
possono contenerli, possono sempre apparire queste figure. Sono luoghi disposti
affinché succeda sempre qualcosa che noi non possiamo capire, ma vedere. Una
rappresentazione con vari gradi di esistenza si spiega in queste nuove opere
che mette in mostra la condizione culturale occidentale...no? E per quanto
riguarda le affinità di esistenzialismo con i miei personaggi (ma appunto non
lo sono per me... sono autonomi, come dicevo prima) forse sono più legato ad
una attitudine amletica.
A proposito, in questo momento sto terminando il quadro Stele II. Stele I l'ho esposta a Palermo un anno fa a palazzo Sant Elia, e nascosta, dopo. Stele II come l'essenza dell'ofelia si affaccia davanti a noi con un viso bello, di giovane, poco più grande di un viso normale. Non si comprende da dove venga perché l'oscuro la trattiene, l'afferra, l'assorbe. I suoi occhi non ci guardano ma svelano non ancora il fremito o il tremore. Qualcosa che sta prima, sospeso. Appena prima dell'urgenza. La stessa luce che brilla sulle pupille pare andar dentro il nero. La bocca, socchiusa, svela l'oscuro del fondo, che inonda.

6- LB: La mostra che abbiamo realizzato assieme a Palermo un anno fa a Palazzo sant'Elia era incentrata sul tema del ritorno al reale ed era costituita da due video, una serie di 5 grandi tele poste a terra che era l'unione di due paesaggi uno mentale e uno fisico, una serie di disegni, e un istallazione audio e libri. Questo focus nasceva in relazione ai recenti dibattiti filosofici sulla morte del post moderno e della conseguente necessità di un ritorno al nuovo realismo anche come reazione a questo presente di iperinformazione immateriale in cui le immagini vengono distribuite e non più create. Il progetto che hai iniziato successivamente alla mostra personale palermitana ruotava attorno al tema dei fantasmi e sulla potenzialità dei luoghi (e quindi della pittura figurativa) di raccontare le esperienze precedenti di cui sono stati testimoni quei luoghi e la potenzialità dei nuovi spettatori di recepire tali racconti. Quanto queste due riflessioni recenti sono presenti in questo ultimo ciclo nato per Pietrasanta? In che modo in questo caso hai sviluppato quelle tematiche e quali sono invece le nuove riflessioni che aggiungono e aprono i nuovi quadri?


6- FL: La realtà è una bella cosa, un buon tema. Reale era una mostra urgente, complessa perché fatta di lettera morta e di opera aperta, viva o sopravviva. Ho letto quanto c’era da leggere sul ritorno al nuovo realismo -compreso il Manifesto recentemente definito da alcuni filosofi, e compagni- e più mi addensavo dentro queste tematiche più mi svolazzava intorno l’impalpabile spettro. I Fantasmi, la serie di opere esposte a Serravalle, sono comparsi dal sorgere di due domande: Cosa è l’immagine? Cos’è ciò che sopravvive? E da quel momento ho ricominciato a tessere un filo che avevo già mostrato cercando di ricondurmi, o pensare, a l’esordio, all’epifania del segno, all’increato: immagino. So come posso reinventare un medium.

7- LB: Francesco, tu fai parte di quella generazione di artisti emersi dalla meta anni Novanta che hanno iniziato a confrontarsi con il site specific, con l'opera non come forma, ma come esperienza concettuale e performativa e che cercava di emanciparsi dal periodo ancora non concluso del successo della transavanguardia, il quale poi ha aperto le strade alla pittura colta, citazionista, al medialismo ecc. ecc. Precedentemente anche se hai sempre disegnato e dipinto le mostre con le presenze di pittura risalgono soltanto negli ultimi dieci anni. La pittura prima era sempre parte di un discorso culturale che si integrava in un contesto più ampio assieme ai tuoi testi, ai video, a interventi al neon ecc. ecc. E' così? Puoi parlarmi meglio di questo tuo percorso?

7- FL: Non so che tipo di artista io sia. Ho sempre vissuto i confini, sui bordi e ancora adesso non riesco a comprendere dove e come sia vissuto fino adesso. Sicuramente mi sono sempre confrontato con l'esigenza dell'essere umano di fornire risposte a questa cosa che chiamiamo “vivere” portandomi a interessarmi alla storia della pittura e alle nuove possibilità della informazione globalizzata (le lettere, i telegiornali, youtube e facebook adesso) di permettere ad una persona di manifestare e dichiarare la sua esistenza a tutti e in tutti luoghi. Proprio da questa mia riflessione nasce l'esigenza di realizzare il video Condizioni marginali nel 2005 che poi abbiamo riesposto anche alla recente mostra palermitana. L'opera consiste in una parodia dei documentari sociali in cui io rivolgo agli abitanti del mio paese di origine (Ispica in Sicilia) la stessa domanda: puoi dirmi il nome di un artista contemporaneo? Contrariamente a quello che ci aspetteremmo da un luogo di provincia in cui l'informazione dell'arte contemporanea è scarsa rispetto ai centri del mercato globale i personaggi intervistati rispondono prontamente alle domande con commenti arguti. La narrazione video poi rivela che è tutta una messa in scena provocando una critica a quello che viene chiamato comunemente sistema dell'arte con i suoi meccanismi di inclusione esclusione e creazione di materiale da conversazione qualunque. Quindi la domanda in questa modernità liquida in cui tutti sono presenti a tutto in tempo reale è: quale è il centro e quale la scelta di trovare un punto di vista parziale con cui confrontarsi con tutto ciò?
Poi, per molti anni, da quando ho iniziato a lavorare con la pittura, mi sono espresso come un essere morto, ma così comprendendomi ho accolto di buon grado la possibilità di subire il tempo che mi ha consentito la radicalità della conversione, dalla contemplazione all’offensiva. Da qui l’assidua caccia all’esistente. In questi giorni leggo, a bocconi, alcuni passi di De Chirico Il pittore portentoso, la sera, sai?, magari prima di andare a letto. Non sono un nostalgico, non m’è mai interessata la pittura facile o di moda –oggi è facile, fare quadri piccoli, sottotono i colori, sbiaditi preferibilmente, esangui, togliersi le ossa, la colonna vertebrale, rimanere invertebrati e bianchi, respirare appena, impalliditi come zombie-, e non sei legittimato a essere pittore per aver letto Clement Greenberg o Rosalind Krauss. De Chirico come metafora del Pittore Glorioso è straordinario. Straordinario allora è, credo, l’idea di pensare ancora a un’opera di genio, agli spazi immensi, alla verticale, a dare forma e spinta irragionevole all’opera, all’opera che ti impegna una vita intera –due esempi italiani nella narrativa sono Moresco e Siti. Inoltre, non è la pittura ad essere una puttana ma sono i pittori che si sputtanano e dipingere non è certo come fare una frittata. Per questo bisogna impegnarsi.

8- LB: Vorrei farti un ulteriore domanda rispetto a quello che mi hai descritto. Quale è il tuo rapporto con la pittura? Cosa è la pittura?

8- FL: La pittura è un medium obsoleto e l’obsolescenza è risorsa di conoscenza. Recuperare una morte apparente del pensiero con l’esercizio aiuta a dimenticare il mondo: come reinventare il medium e dare risorse al soggetto.


La mostra è realizzata in collaborazione con www.poggialieforconi.it

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FANTASMI

 

Fantasmi

 

Sciatò di Serravalle, via Garibaldi 49, Serravalle Pistoiese (Pistoia)
Opening: mercoledì 18 aprile 2012

Apertura
18 aprile 2012 / 27 maggio 2012

 

COMUNICATO STAMPA

Lo spazio irragionevole

Ho iniziato a pensare a spazi espansi, non reali, perché potessero non contenere questa realtà, irresponsabili, dove la libertà e l’esordio sboccino in un altrove che da sempre cerchiamo di definire, di cui continuamente subiamo fascino, e ci sfugge. Quando ho cominciato a dare battesimo a queste immagini le ho comprese irresponsabili e cioè possibili, indefinibili per me nel loro proprio appartenere al mistero perché mi sono sorpreso, d’incanto, d’essere entrato, o semplicemente affacciato in un qualcosa che ha il sapore del “dopo l’ultimo giorno”, ovvero, sentivo che quelle immagini nulla avevano di umano ma s’avvisava in esse un senso di vertigine proprio, perché superata l’idea di destinazione l’immagine dimostra la natura disumana, fantasmagorica di sé facendomi trastullare poi –per un mese intero mi sono ripetuto la domanda ad ogni boccata d’aria- su cos’è ciò che sopravvive? 
Sicuramente l’insepolto, credo. L’increato, immagino. E l’esordio, per esempio, sempre. Ecco allora che mi sono spostato intorno a spazi inaccessibili, senza tempo, altri spazi, irraggiungibili e irresponsabili ove l’infinito fruscia il nostro sguardo. E’ anche per questo che al di là dell’ in quadratura ho eliminato i solidi –il telaio per esempio-, lasciati incustoditi 
i margini, allargato l’orizzonte, cercando di dare forma alle mie residue illusioni e dare una spinta irragionevole alla mia opera.
Infine un appunto sul titolo:

Parola di ampia e latente potenzialità d'uso comune può essere interpretata malamente se riesce a comunicare niente oltre la sua usuale accezione col rischio dell'indifferenza o, peggio, con sufficienza da persone che non condividono la stessa finezza investigativa o attenzione.
Diversamente densa e forte riposta nella sua componente che dal kitsch passa al grottesco fino al registro tragico, quindi ripiomba nel comico, è:

Fantasmi

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REALE

a cura di Lorenzo Bruni

 

Ex Cavallerizza di Palazzo Sant'Elia, via Maqueda 81, Palermo
Opening: mercoledì 14 dicembre, ore 18,00

Orari
15 dicembre 2011 / 16 gennaio 2012
dal martedì al sabato 9,30 - 13,00 / 16,00 -19,30 / domenica e festivi: 9,30 - 13,00

 

COMUNICATO STAMPA

La Provincia Regionale di Palermo inaugura Mercoledì 14 dicembre 2011 dalle ore 18 la mostra personale di Francesco Lauretta, curata da Lorenzo Bruni, dal titolo evocativo e familiare di REALE. La mostra, prima e unica dell’artista nella città di Palermo, è costituita da un ciclo di cinque quadri, da testi e da un'azione performativa che si svolgerà nel giorno dell'inaugurazione all'interno dello spazio della Cavallerizza. Questi nuovi lavori, pensati appositamente per l'occasione, saranno contestualizzati da alcune sue precedenti opere come il video Condizioni marginali del 2005, da un catalogo di libri e musiche e altri progetti che andranno a formare un percorso inedito nelle sale al pian terreno di Palazzo Sant'Elia.

Il progetto di mostra di Francesco Lauretta trova il suo nucleo centrale in cinque nuovi grandi quadri che “abitano” e modificano la percezione dello spazio della Cavallerizza di Palazzo Sant’Elia di Palermo. Le tele sono appoggiate a terra in attesa di essere appese nella loro giusta posizione mentre solo una ha già trovato la collocazione sulla parete. In questo modo lo spazio si presenta come un luogo in trasformazione e in attesa di un qualcosa creando una sensazione che esprime e sintetizza perfettamente quella che anima i paesaggi “rappresentati” nei cinque quadri. Le tele presentano, in successione, le seguenti “vedute”: un particolare di città sconvolto da un terremoto, uno scorcio di una piazza assolata, tre figure di spalle in lontananza che osservano il mare, un cimitero sormontato da un cielo plumbeo e un particolare di interno di un’abitazione. Queste immagini mutuate dalla “pittura di genere” convivono nella stessa superficie pittorica con altre di diverso tipo creando una frizione e un contrasto “tra il surreale e l'inappropriato”. Le presenze che attraversano questi “luoghi immaginati”, citandoli in successione, sono: un volto di un cristo come “ecce homo”, un giovane e un anziano che parlano con circospetta affettuosità, scheletri che affiorano in trasparenza dal terreno sabbioso, una comunità di scimmie in attesa, un figurante per processioni vestito da san Giuseppe. Queste differenti scene ci appaiono in una dimensione allucinatoria come se fossero permesse da strani strappi spazio temporali. E' un collage di informazioni volto a constatare la condizione attuale del cittadino immerso in un presente espanso in cui le informazioni pubbliche vengono vissute, per mezzo della smaterializzazione delle informazioni/esperienze, in modo squisitamente intimo e viceversa. Tale analisi sull'attuale rapporto asincrono tra soggetto e paesaggio abitato o abitabile è solo il punto di partenza per l'artista che, ripercorrendo le possibilità insite nella storia della pittura occidentale, dal medioevo fino ad oggi, intende interrogarsi sulle modalità narrative del mezzo artistico e soprattutto su quale sia il pubblico e il fine di tale narrazione.

“Con la mostra di Francesco Lauretta – commenta il presidente della Provincia, Giovanni Avanti - Palazzo Sant’Elia si conferma non solo sede espositiva di prestigio, versatile come poche, capace di narrazioni contemporanee che non confliggono, e anzi si armonizzano alla perfezione con il suo impianto settecentesco, ma si rivela anche un luogo di suggestioni e di ispirazione. Così è nata l’esposizione di Lauretta, che visitando Sant’Elia ha trovato nei suoi saloni affrescati, tra le sue stanze cariche di storia, le ragioni di una nuova, visionaria, inquieta produzione artistica, che oggi si concretizza in questa prima personale palermitana”.

L'artista stesso parla così della genesi di questi nuovi quadri e dell'esigenza di realizzarli: “Si tratta di Cinque quadri di immagini in divenire, opere in cui realtà e irrealtà convivono, rappresentazioni di giunture storiche e momenti personali come sognati. I titoli delle cinque opere sono 1. Visione della fosforescenza. 2.Manifestazione dello schema perturbante. 3. Quadro delle opere complete. 4. Scena della crisi del reale. 5. Saggio dell’uomo fuori posto. Sono delle immagini con cui partecipo alla "rincorsa" della realtà in atto in questa modernità liquida. Alla realtà viene effettivamente fornito un ‘medium consapevole’ - una pittura liberata fuori dalle regole precostituite e una possibilità di riflettere sugli stili che convivono tra loro. La pittura va oltre queste passioni perché non è la rappresentazione della realtà a legittimarla: essa infatti  è sempre aperta al nuovo, sempre viva davanti a noi.” Come scrive il curatore Lorenzo Bruni: “Per Lauretta, artista neo concettuale attivo dalla fine degli anni Novanta, l’opera pittorica è da sempre un mezzo per riflettere sulla storia della pittura e sulla sua funzione all'interno delle società. La situazione allestita all'interno della cavallerizza è uno scenario fantasmatico di codici culturali e stili differenti che riflette  su come sintetizziamo il mondo e come lo tramandiamo. Questa dimensione necessariamente solitudinaria e introspettiva con cui il singolo riflette sul passato collettivo/personale è solo una faccia della medaglia. L'altra faccia o atteggiamento con cui affrontare questo problema è concretizzato nelle sale da testi, suoni, quadri e video precedentemente realizzati dall'artista in cui è presente la questione della socialità e della comunicazione con l'altro diverso da sé. La domanda aperta che emerge è quale sia la realtà a cui ci stiamo rivolgendo proprio nel momento in cui la diatriba tra post moderni e realisti si ripresenta alle porte e impone l'interrogativo su quale sia il punto dal quale narrare e raccontare l'umanità e con quale prospettiva questo debba avvenire”.

Francesco Lauretta (1964, Ispica, Ragusa; vive e lavora a Firenze) dopo studi tecnici, si trasferisce a Venezia e frequenta l'Accademia di Belle Arti nell’aula di Emilio Vedova. Si diploma nel 1989 presentando la tesi su James Lee Byars, artista americano incontrato a Venezia, che influenzerà le prime opere esposte a Torino, dove si trasferirà nel 1991.

Tra le sue recenti mostre personali sono da ricordare: Galleria Laveronica, Modica, a cura di Elio Grazioli, 2010; “Privato”, Galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano, a cura di F. Pasini, 2007; “Non saremo noi”, C/O Careof, Milano, a cura di Roberto Pinto, 2005 e la collettiva  al Museo Riso, Palermo, a cura di Giovanni Iovane, 2011 e la premiazione per il Premio Agenore Fabbri al Museo della permanente, Milano/Stadtgalerie, Kiel/Kunstlehaus, Graz, a cura Fondazione VAF, 2007.

La mostra è realizzata in collaborazione con la Galleria LAVERONICA Arte Contemporanea.

 

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COMUNICATO STAMPA - versione inglese - scarica il doc >

LOCANDINA MOSTRA - scarica il jpg >

 

Provincia Regionale di Palermo
ufficio stampa  + 39 091 6628936
www.provincia.palermo.it

Info mostra ufficio stampa: + 39 338 3225932

 

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Selezionato per il PADIGLIONE ITALIA
54° ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE DELLA BIENNALE DI VENEZIA
Venezia (Arsenale), 4 giugno - 27 novembre 2011

 

gallery >

 

Lauretta sarebbe anche il vezzeggiativo del nome di mia figlia e già questo crea un arco tra me e lui. Non ho mai amato l’arte del togliere, del poco, né  sono stata sedotta dalle mille strade del post-moderno. Le opere di Francesco Lauretta mi sono cadute addosso per caso e le ho lasciate depositare nel tempo. Non mi sono pronunciata, non gli ho detto che mi piacevano. Perché le trovavo incredibili, cioè letteralmente non potevo credere che qualcuno facesse oggi quelle cose. Dipinge processioni, angeli, resurrezioni, crocifissioni, dipinge anche bambini, uno alle prese con la costruzione di una decorazione votiva, altri che giocano a calcio in un campo di cemento sul mare. Lauretta è però il più concettuale dei pittori, si deve stare attenti. Pare che spesso lavori a partire da una fotografia, e poi.. E poi che succede? Perché rifare una foto, che è già un realtà bruciata e  mitizzata al tempo stesso? La foto brucia il tempo e lo mitizza ma, certo, essa riproduce la realtà. Ma credo che a Lauretta non interessi la realtà ma la verità, o addirittura la ‘straverità’. Allora ecco che in quella processione (Come un vaso rotto) tutto crolla, gli uomini cadono sotto il peso del santo che portano sulle spalle. Chissà se uno di loro ha avuto un malore, ha incespicato, o se è il santo a pesare troppo. Eppure le loro camicie iperverdi e i loro fazzoletti iperrossi mandano un segno nefasto, il colore su cui è basata la scena – vita, unione, canto – si rivela un bruno insidioso. La reliquia in effetti è bruna.  Eccola la straverità: una cadere, una folla che al culmine del suo cammino  spirituale si fa caos, ecco anche la vita che mentre canta, rovinosamente finisce. Certo Lauretta è un narratore, come Forster Wallace o come Jonathan Lethem (autori da lui sempre citati). E come Lethem scrive un’opera concettuale raccontando della mafietta italiana a Brooklyn, Lauretta, pittore maestosamente pittorico, dipinge un’opera concettuale (cioè che non dice quello che rappresenta ma molte altre cose) mettendo in scena la Sicilia e i suoi riti. Se poi uno si chiede  come tutto questo venga alla luce, allora si entra in un campo antropologico-meraviglioso. Francesco Lauretta scrive che sua nonna dall’ospizio, una volta gli disse: “ Quando morì tuo nonno quella casa - quella piccola casa in ronco dei Vespri- s'oscurò.” Qualcuno può commentare al meglio il nostro tempo, e quella caduta rovinosa che del nostro tempo è la descrizione più esatta?

Alba Donati