Francesco Lauretta

La dimensione del sentimento

di Karel Appel

 

Nella mia pittura sono arrivato oggi a dare un posto importante a ciò che si chiama sentimento. L’espressione del sentimento è divenuta la dimensione che orienta e governa la mia mano, ritma lo spazio, semplifica o mette a nudo…

Certamente, io mi sono chiesto: perché questa tappa? Sono turbato, quasi terrificato, dal fatto che la nostra epoca, così ricca di progressi scientifici e tecnici, tenda a vuotarsi sempre più di questa parte dell’uomo che è legata al cuore e che, fin adesso, ha giocato un così grande ruolo nella sua evoluzione. Anch’io immagino che questa carenza possa mettere in pericolo il nostro avvenire in quanto esseri umani. La mia pittura diviene insomma un gesto di difesa, un richiamo, un grido di collera o di pietà, un segnale… Un giorno mi sono detto: una civiltà che si amputa così della profondità essenziale, quella che da secoli ha dato forza alla nostra arte ed alla nostra vita, rischia di finire su un cammino sbagliato. E di non essere più capace di continuare la sua strada. E’ emersa allora ogni sorta di forme evocanti l’angoscia di un mondo in preda alla brutalità dai mille volti: forme straziate, città esangui minacciate di decadimento, forme imploranti che attendono un segno, figure enugmatiche incontrate in cammino per qualche regolamento dei conti…

Pppure ancora la presenza di archetipi angelici, sentimenti di sempre, sguardo davanti la morte e di fronte al tempo, dolore sulla tomba, senso improvviso della frigidità dell’uomo o delle cose. Ecco una sorta di espressionismo ultimo il cui cuore diviene il centro e i cui risultati plastici, paradossalmente violenti, sono sgorgati da me senza premeditazione.

Ho l’impressione di aver visto tutto ciò da qualche parte, da una finestra o dalla strada, o leggendo giornali o ascoltando le notizie. Forse si tratta anche di sogni da sveglio o rivelatori, premonitori, o ancora di ammonimento.

Ho detto altre volte che dipingevo come un barbaro in un tempo di barbarie.

Oggi, per esprimere quello che io provo e che accade, è ancora la stessa forza barbara che utilizzo, ma questa volta è per rendere visibile nella nostra civiltà, apparentemente così raffinata, ciò che le manca ormai di più: la dimensione del sentimento.

Nessuno mi ha detto: “Fermati!”. Dopo mesi, anni, mi accade di “riprendere” un quadro e di metterlo sottosopra. Ma cosa avviene a volte? Il quadro è così sovraccarico di colori e forme raffinate che mi disgusta. Allora mi dico: “Provati che hai la forza di “aggirare” il tuo quadro, di liberarlo da questi lussi complicati, inutili”. Allora si ricomincia tutto e si demoliscono in un istante ricerche che sono durate mesi, anni, nella speranza di trovare infine una forma nuova, semplice, evidente e primitiva. Il nostro sistema di espressione è divenuto così sofisticato che bisogna avere il coraggio, in ogni momento, di affrontare il punto “zero”. Altrimenti si rischia di sprofondare in un estetismo vuoto.