Francesco Lauretta

Privato

La signora fu trovata morta in casa dal panettiere che non vedendola arrivare a ritirare il pane, come al solito - sai che giù passano nei quartieri con l’Ape o altri mezzi, fanno la distribuzione dei pani, casa per casa - provò a bussare e trovando la porta aperta s’informò fino in cucina dove lei stava seduta e pensante, perché così era a tavola, il capo chino sostenuto dal braccio poggiato a tavola. Nelle gambe erano accoccolati i suoi gatti come a dar calore ad un corpo bianco di morte.

 

 

Privato

 

 

È da sempre che passando da via dei Sauri incontro quest’area che mi lascia pensare. O era così fino a qualche anno fa e fu nella notte che incontrai, inconsapevolmente, quella casa. Mi ero lasciato con l’amico proprio all’incrocio dell’ospedaletto quando ci sorprese uno di quei temporali poi non molto rari dalle mie parti, a Ispica, nel mese di dicembre. Notte fonda come amiamo lasciare prima di andare a casa a dormire. Una vera e propria bufera che seppure sotto un balcone riparati non solo fummo investiti dall’acqua violenta ma a malapena riuscivamo a sentire le nostre voci ad un metro di distanza. E ci guardavamo ridendo. In quei momenti poi non abbiamo bisogno di dirci parole tanto ci conosciamo bene io e Tom. O. K. Lui a destra verso via Acireale, verso il casino di Belmondo, una leggera salita al 2,7% di pendenza. Io verso mancina, uno scivolo verso il basso, discesa con pendenza del 15%. Un urlo stritolato dall’acqua e su lui e giù io, di corsa, a domani caro amico e buonanotte! E nella corsa il corpo s’è frustato d’acqua, di vento - acqua da tutte le parti, tanta acqua che ti pare d’essere acqua, fatto d’acqua - e giù ad urlare all’impazzata perché sai che nonostante la notte è profonda nessuno può udire questo scanno, la natura quando vuole urla più forte di uno stupido individuo. Così sono sceso, di corsa. Poi quando fui sazio mi sono anche fermato e ho iniziato a volteggiare, derviscio a danzare quasi con la faccia verso il cielo, a girare e girare fino a perdere l’equilibrio, fino a cadere ridendo nella furia del vento e d’una pioggia battente ed impazzita perché lo scroscio virava imprevedibilmente in ogni dove e non sentivi niente, e nei paesi così fatti, quando piove a ‘sto malomodo, l’acqua riempie le vie in discesa come un torrente bollente e s’alza di quindici, venti centimetri e più e caduto di danza, ubriaco d’acqua adagio la testa sull’asfalto come si vedeva fare in certi film western quando si poggiava l’orecchio al suolo per sentir, cosa? L’avanzare degli apaches? O cos’altro? E così sommerso e preso a schiaffi dall’acqua non senti niente, manco il cuore battere senti nelle tempie, amore, manco rumore senti, niente né l’urlo lanciato veloce sul nero straziato della natura perché intanto la luce è andata via e nella notte profonda non vedi niente non senti niente se non e solo il battere d’aghi d’acqua in ogni dove nel corpo. Poi m’alzai. Ero splendidamente bagnato e accaldato e la notte era profonda come il nero e l’argento che la tingevano.

 

Una casa.

 

In un lampo una casa illuminata in tutto il suo grigio, l’argento, e il giallo. Ecco improvvisamente il rovescio furioso di un temporale straordinariamente potente, il suo rumore a tutto spiano, in un momento come il batter di ciglio riecco il rumore che pareva lontano nella danza, ovattato e dimenticato. Avevo visto qualcosa, una casa credo, una casa che forse avevo sempre visto, forse, forse l’avevo sognata perché solo quando compresi d’essere fuori, scoperto sotto un rovescio d’acqua intorno non vedevo niente. Lì, sott’acqua, stretto sul nero riuscivo ad ascoltare anche altrove, un momento, riuscivo ad ascoltare ed ascoltai per nove minuti e trentatre secondi il terzo movimento, largo, e non era possibile, credetemi così largo tanto di nove minuti*. Ero bagnato ed erano le tre e quarantanove minuti e sedici secondi e spicci il 29 dicembre dell’anno 2000.

 

* Terzo movimento, Largo di 9 minuti e 36 secondi dal quintetto per 2 violini, viola, violoncello e piano in sol minore opera 30 di Sergey Taneyev (1856-1915), cazzo!

Lei

 

Voi non la conoscete. E forse nessuno l’ha mai conosciuta. In paese la chiamavano ‘a Signurina perché era schetta, non s’era sposata lei. In quella Casa abitava con i suoi gatti, i suoi cani, i pidocchi, le iene, le adorate giraffe. La sua Casa era Liberty. La sua casa era abbracciata da un grande giardino dove nessuno poteva andare e nella notte, quand’ero lì, riuscivo ad ascoltare il suo piano, il suo canto come un lamento d’amore, un assolo inquietante, un respiro ardente. Lei andava in giro a piedi. Girava in lungo e in largo in paese con la sua banda di animali. Portava vestiti sgargianti, con lo strascico, enormi cappelli decorati con i fiori veri ed era tenuta a distanza dalla gente, ‘a Signurina. E per alcuni era una senza testa o con più teste; altri dicevano che di notte si trasformasse in una bambina, che avesse bruciati gli occhi e lunghi i capelli, che ridesse sempre; o che fosse anche un bambino senza testa - suo gemello -, un demonio dicevano e giocasse o Tuornu - il gioco del mondo -, e così giocando riuscisse a venire dall’inferno, progettasse l’accesso nell’eterno.

.

 

 

 

 

Qui rispolvero alcuni appunti che avevo registrato nel mio quaderno nero, non ricordo in quali circostanze, da dove le fonti, non ricordo assolutamente niente, era semplicemente buio, nero il mio quaderno, forse ricordo qualcosa che ha a che fare con il catrame, di cani, di case mutanti, di violenza simbolica prima e materiale dopo che si misura nell’ampiezza dei problemi sociali - ed economici - di chi vive in quelle zone; di una casa [o più case: ogni volta che andavo giù trovavo qualcosa di diverso e di insolitamente strano come una finestra in meno o una in più dall’ultima volta - una panchina in meno, una in più, una volta di legno, un’altra in cemento ecc.- ogni volta registravo i progressi apportati nella casa, ho sempre avuto l’impressione di vedere, o come diavolo dire, una casa, potenzialmente, dalle “anime” diverse, ogni volta afferrata da una “psicologia” diversa], di un quartiere, un giardino. Una mappa dell’esclusione, quasi una carta geografica negata, sospesa, una zona d’ombra priva di diritti e aspettative, una casa come metafora spaziale per far sì che i problemi appaiono alla periferia della società, di cose che sanno evocare non delle realtà ma dei fantasmi, un ordine estetico e costruzione mentale d’uno spazio nervoso [spazio nervoso a dire il vero era il primo titolo del mio progetto, spazio nervoso anche perché non solo si consumavano cambiamenti o mutazioni ma anche perché intuivo che stavo riflettendo qualcosa di genere, sentivo il nero dentro, un romanzo], quasi una società parallela. Una notte mentre registravo i miei fantasmi vidi passare un cane. Tenevo la telecamera in mano, non potevo spegnerla e dall’occhio della telecamera vedevo il cane curioso ed impaurito girarmi attorno. Provai a chiamarlo ma il cane iniziò a correre, ad allontanarsi, d'altronde ero gigante in quel momento e il piccolo cane non poteva non vedermi altrimenti, come una minaccia, un mostro notturno…Prezioso il cranio, come imploso, oblio, come dentro la propria casa, un grumo il cuore, morti & Morti, la zona vivente qui, intorno al cane, che corre, lucciconi a sentir le mani, le mani nella notte pregare…Quest’altra casa, Ash Tree Lane, psichiadelìa del nuovo millennio, e rallentando, accelerando, zoomando, Cage [‘fanculo], a scardinare le certezze, Zampanò [è il nome di uno dei protagonisti di Casa di foglie di Mark Z. Danielewski], basta entrare con una videocamera HI8 mobile mutante, si aprono una dentro l’altra come le finestre si aprono navigando su Internet, le dissolvenze, i rituali e le paure del suo immaginario e dei suoi traumi, delle sue paralisi e delle sue resurrezioni, devo lavare i piatti adesso, i piedi, i baffi [avevo i baffi allora, il pizzo, pochi capelli che poi ho tirato giù, sepolti sotto un mattone] fare una cacata, lavarmi gli occhi, alzarmi il culo, il culo [ho le fistole nel culo], sicuro!

.

 

Abbas racconta che ha avuto la Signurina alle medie e che una volta i ragazzi riuscirono a farla cadere dalle scale, a farla ruzzolare, sì ruzzolare rende bene l’idea proprio perché la povera signora era enorme, gigantesca e agli occhi dei ragazzini quella caduta dovette apparire mostruosa, sconvolgente e francamente non riesco ad informare nessuna immagine potente, a meno che non pensi ad una bestia enorme, un pachidèrma che costretto a scendere dalle scale scivoli e, niente, provate, provate voi ad immaginare una caduta tanto rovinosa ma, come conviene in questi casi, l’immaginazione s’arresta e la signora si riebbe fortunatamente dal solo e banale spavento.

 

- Quei bambini li darò in pasto ai miei cani

 

Col senno del dopo, nella mia vita, sono stato fortunato, anzi siamo stati fortunati, io e il mio gemello, Tim si chiama. La Signurina ci ospitò nella sua casa per una fetta di torta di mele. Ci raccolse nel suo salotto tra i suoi cani, i suoi gatti. Fui fortunato perché su ventitrè bambini nell’anno 1971 ben dodici furono bocciati alla prima elementare della Luigi Einaudi, a Ispica, prima B. Ecco l’elenco dei bocciati:

 

1. Tim Trasmet, mio gemello, sposato, due figli, [entrambi i miei nipoti festeggiano il compleanno il 7 di settembre] vive e lavora a Ispica e fa il decoratore, o l’imbianchino? O, per non offendere i terzi, l’artigiano?

 

2. dj Popstar, prodigio in pittura oggi sposato, ha una galleria di quadri usati, vecchi, e vive a Toronto.

 

3. Otto Love, muratore, sposato vive a Ispica, tre figli.

 

4. [Sciavè] Jimmy, non ricordo il cognome, sposato, un figlio, carabiniere vive a Reggio Calabria.

 

5. Ultra Hardcore, sposato, vigile, vive a Ispica, due bambini.

 

6. Cocoricò Mas, emigrato in svizzera, Bauma, lavora in un supermercato, sposato con una paesana ha tre figli.

 

7. Turiddo Garnier, finanziere, vive a Roma, sposato, quattro figli.

 

8. Ciccio Disintegration, morto in un incidente stradale nel 1997.

 

9. Steve Propriocomenoi, morto d’infarto nel 2003, lascia moglie e un bambino.

 

10. Allan Bocca, bidello in un villaggio nel Friuli, sposato, due bambini.

 

 

 

11. Eccomi MDMA, morto in un incidente stradale nella statale Siracusa-Catania nel 2003, lascia moglie e una bambina.

 

12. Adam Party, veterinario, sposato, un bambino avuto da poco, tiene due cani e tre gatti e vive nella campagna modicana [Lucky, vai a cagare!].

 

Niente, mi rigiro, provo a raccontare quanto Abbas mi ha trasmesso e sudo, fa caldo, l’afa, l’aria irrespirabile adesso. Non riesco a venirne a capo, non riesco a tradurre con forma la caduta della povera donna, a Signurina. Abbas quando racconta è divertito e inorridito; devo chiedergli se non mi scrive un pezzo dell’elefante, della sua caduta dalla larga rampa di scale della scuola elementare e media dell’Albero del Sospiro dove nel milleottocento e rotti si formarono i moti carbonari della Sicilia Orientale, lì dove cadde la povera signora per colpa di uno scherzo bene architettato da un pugno di ragazzini e fu una fortuna se non successe niente di grave, niente ossa rotte, manco una goccia di sangue, ma la signora ci rimase quasi secca di scanto.

 

- Quei bambini li darò in pasto ai miei cani!

 

 

Fu in un pomeriggio, e forse come questo e caldo allo stesso modo, probabilmente, che la Signurina ci sorprese mentre tra le filazze del cancello rovente provavamo a buttar l’occhio dentro il giardino, verso il mistero. Ci sorprese, era lì davanti a noi, il vestito rosso e decorato con rose nere, lo strascico, i suoi cani bastardi intorno.

 

Lei - Cosa volete vedere? Allora, cosa state cercando?

 

Io - Siamo curiosi perché con questo caldo ci sono arrivate delle zaffate di corpi di animali come quelli delle iene, zebre, gazzelle e allora ci siamo fermati, abbiamo provato a vedere, stavamo cercando di capire questo mistero, perché questo lezzo di carcasse e con l’afa si sente eccome, quando c’è una puzza così bisogna avere ambizione, mai sottovalutare la scomparsa della folla umana, ancor meno se il corpo di un leone è assente

 

e Lei

 

- Venite con me

 

Eccola la casa, si entra

 

- Entrate

 

[Cazzo, siamo nati tutti nello stesso cortile, io e dj Popstar, Tim e la sorella di dj Popstar, Dance, Punk, mentre Ecstasycentrico e la sorellina minore, non ricordo il nome, ehm, ma come cazzo si chiama? [Brezza, lo ricordo solo adesso, l’ho incontrata nel lungomare di Pozzallo martedì scorso, era con il fidanzato. Io e Oakenfold c’eravamo arrostiti al mare e a Pozzallo ci siamo sciacquati il cranio, lavati i piedi e lo stinco, poi abbiamo passeggiato, extra ecclesiam nulla salvatio], nacquero in ronco Milano, due traverse più a nord. Partimmo e tornammo. Quando arrivai a casa, non misi piede dentro che una belva feroce mi si avventò incontro con una violenza tale che ancora oggi, al racconto, Uma rabbrividisce al pensiero, diventa bianca di vergogna. I disegni rimasero da dj Popstar. Non comprammo la tela, non realizzammo il nostro Paradiso terrestre. Non ritornammo a Ragusa. Lui dipingeva da dio. Io diventai un tiralinee, andai a Modica. Sono un geometra io]

 

- Volete un cane? Una fetta di torta alle mele?

 

[Da quando tuo nonno morì, la casa s’è oscurata - così mi disse mia nonna dall’ospizio di via Roma, l’ Americana]

 

- Tim, che dici, penetriamo nel cadavere?

 

Non si sorprese, no, ho motivi privati per non dire delle famiglie, di via dei Sauri 43 [una scatola di cemento c’è adesso], delle urla & schiamazzi, della malattia. I corpi erano sbattuti per terra, la bava in bocca, i coltelli quasi quasi sgozzavano e pertanto, nel privato, in quella stanza gialla della penetrazione, in quelle verdi del terrore, nell’arancio, lì (privacy), ho sempre osservato con pazienza quella finestra che si affacciava fuori, il vetro rotto come se qualcuno avesse lanciato un sasso, e forse lo avevano lanciato davvero, fuori, tutto è fuori, là, dentro e spesso è peggio, locale, l’etilismo dell’uomo, chissà…Cosa ho detto.

 

 

Anna Franzò n. 13/1/1899, m. 31/12/1999

 

Dopo,

 

-Tim..,

- … sì,

- … andiamo a casa

 

È pomeriggio, 29 giugno 2006 allo Snack bar Trianon. Appena adesso ho acquistato da Filofax Centre 9/D una A.G.Spalding & Bros 520 Fifth Avenue NY. Con il mitico Sambassim ci siamo scolati due birre medie + 2 + 2 + 2 piccole. ‘Mane ha piovuto e ho letto alcune pagine di [Body Art], di Don Delillo, e spedito [via Minerva]. Racconto a Sambassim del mio progetto. Gli racconto della signora Anna, dei suoi cani, della casa. Lui ascolta e scuote la testa, mi dice che non è vero, la storia è improbabile. Fa meno caldo di ieri, anzi l’estate pare gradevole forse come lo era una volta o, forse e semplicemente, sudavo meno di adesso e non temevo il sole, sono più grasso, ‘fanculo non ero così noioso. Lo eri. Non parlando nel tuo piccolo mondo tutto sembrava più facile, semplice, mentre, in verità, mai niente è stato così facile come adesso. Sambassim scuote la testa, mi dice che è impossibile che possa esistere una casa così. Gli dico di aver letto Casa di foglie, che quella sì, è finzione quella, però dico anche che è possibile, possibile come in questo momento, dopo tante birre, riflettere di Marcinelle, dire di Nathalie e Stacy, un collettore delle acque piovane. Bisogna essere talmente ubriachi da non ricordare più niente. Alcuni bambini vengono ritrovati, altri spariscono nel nulla, l’incubo viene da dentro, da questi paesaggi un po’ monotoni, piccole cittadine invase dalla noia o ai margini dalla noia. In uno scenario quasi tutto uguale, intristito dalla lentezza la gente svolge una vita tanto scontata quanto ferma. L’orrore è sempre uguale. C’è un senso di impotenza di fronte alla realtà, nonostante l’incubo che non sparisce mai, la realtà satura di fare come una speranza, come una minaccia ( ? ) [mi guarda storto, non capisce le ultime cose, “come cazzo parli?” mi dice, “la birra”, rispondo], dico a Sambassim, che tiene il casco decorato all’uomo ragno [lo giuro, grigio, non rosso, ma grigio e brutto], che i giornali scrissero che “i bambini violati e trucidati potevano essere salvati. A ucciderli non sono stati solo gli Y, e altri come loro…” lui “A finirli hanno contribuito l’incapacità dei giudici, la guerra tra i corpi di polizia, l’indifferenza dei procuratori. Forse anche le protezioni di cui hanno goduto i pedofili”. Tutto il resto, generalmente, rimane e rimase fuori, come se questo piccolo paese, questa casa, forse, potesse tornare nel suo torpore dimenticando le atrocità private e i dubbi che anno dopo anno hanno investito le televisioni e i giornali, le città, e le case, le nostre case. Da allora forse l’incubo non è mai sparito. È entrato dentro alla vita della gente, delle nostre notti, nella nostra normalità. Quando entrammo in quella casa c’era il profumo dei prati tosati, delle mucche, i campanili ( ? ) [leggi sopra, birra!], e il profumo dei biscotti alle mandorle o alla cannella, avevamo meno paura dei suoi cani che ringhiavano che di lei, lei sorrideva, ‘sti cazzi!

 

Io, Anna.

 

“Ascolto Enter The Circus, canta Christina Aguilera. Sono qui ormai e da qui non mi sposto almeno finché avranno venduto, completamente, il lotto questi stronzi. Stavo giusto pensando a cosa fare di tanto ben di dio dopo la mia morte, se lasciare la proprietà al comune di questo ridicolissimo paesino o se lasciarlo a qualche nipote che quello stronzo del panettiene mi fece venire un colpo. Ci rimasi stecchita. Pazienza. Adesso, da un po’ di tempo, qualcuno mi dice che c’è un signore, si chiama Giovanni, credo, o no?, ah, Carmelo si chiama che, l’ho visto non molto tempo fa, recentemente manco dieci giorni fa, che ha iniziato a raccogliere notizie su di me. Ma quali notizie? Chissà cosa va a raccontare in giro. Sì, mi è capitato di vederlo questo signore che mi pare deve stare sopra la quarantina, calvo e ciccione, l’ho visto passare nella notte, soprattutto di notte, si avvicina, si guarda intorno, mi gira intorno e non mi vede, una volta l’ho visto pisciare dall’altro lato dove quei figli di buttana hanno scassato il muro a secco, lì pisciava e pensava al fatto che in via IV novembre una volta trovò il corpo di un gattino stecchito ma caldo era e si trovò con le mani insanguinate, questo pensava questo signore mentre se lo teneva in mano e pisciava. Mi dicono che ha risolto il mio mistero ma non ha risolto niente ‘sto pazzo. Lui non sa che anch’io avevo un amore. Questo mistero. Ho sognato un amore. Quando ero una bella signorina e la casa era frequentata dalle persone che sapevano leggere e, o, appena scrivere, m’ero innamorata. Anch’io avevo l’amore della mia vita, quello sognato e l’ho avuto più forte degli altri io. Io sono un’invenzione di genere ma anche un reportage, come un pittore reporter mi dipingo “enorme” perché il mio luogo ed io siamo diventati miti, ci siamo reinventati1. No, non c’è bisogno di questo Carmelo perché chi sia malintenzionato possa girarmi intorno, no. Peraltro la casa l’ho vista recentemente, registrata e di giallo, in una città del nord, li ho visti, erano in tre, Meno e Marziano e Carnino in un torrido pomeriggio lavorare e tramare qualcosa intorno alla mia casa. Allora, dicevo, questo menzognere, ad esempio, non sa niente dei miei amori, anzi del mio amore. Ho dovuto soffocare questo amore. Ogni tanto, di notte, scivolavo nel mio giardino e versavo parole al cielo, alle mie stelle, dicevo parole che raramente si riescono a cantare bene, le versavo sapendo che non potevo null’altro all’amore quando intorno sentivo le urla delle giovani spose e delle puttane, lì, a due passi, una casa rossa, proprio di fronte alla mia, anzi di lato, ce n’era una che si pumpiao l’intero paese e a quanto ne so, e mi raccontò una volta, lo faceva solo per mangiare, e per andare a morire. Anche la sua casa è abbandonata adesso, anche della sua casa faranno una baracca moderna, di questi tempi guasti. Che tipi! Ora me ne vado fuori, mi faccio una camminata nella notte mentre non c’è nessuno che passa, mentre Carmelo se ne sta di merda su, io vado fora e vedo la notte, ascolto e vedo la notte, una zanzara volare. Mi ha punto la natica. 2 dei 3 gattini

 

 

scomparsi sono tornati. Del terzo nessuna traccia. Spel, la gatta che ti piace sta male. Perde i figlioletti morti dalla pancia, ne ho trovato uno senza collo, l’altro le pendeva morto da dietro, bianco anche lui. Non voglio che Spel muoia così, non voglio. Pensate a Spel. Io ci penso. La notte qui è gialla. Forse quei farabutti hanno ragione, il giallo potrebbe essere ovunque. Loro hanno divelto la notte mentre uno mostrava il filmino di Ines, una povera vecchietta che vive isolata nei monti in un luogo che non conosco e che non ho mai visto. Ines ha mangiato il suo primo cono gelato a 83 anni. Ne ha mangiati due, non capiva che sapore avesse ma non ha fatto in tempo a finirne uno che ne ha preso un altro, sparito! C’è tempo per una madeleine. Certo, non dire delle camole e dei piccoli vermi che nascono spontaneamente nella pasta rafferma. Ho rivisto la zanzara furriarmi intorno. Sarà la sua ultima notte, questa.

La mia è una storia elettronica. Questo Carmelo non lo ha ancora capito. La mia storia non è nostalgica anche se lo può sembrare, no, la mia storia si rimette in movimento partendo dal supposto legame passato-nostalgia, la mia storia si fa storia di tantissime anime, questo tu non lo hai ancora capito.

Ha ragione Ivana. Ivana è una donna di classe, come me. Il Siciliano? Abbiamo un sacco di U e gli uomini parlano sempre come se dovessero dare un bacio a qualcuno. E poi è dolce, dulcissimu. E col sole ci si chiudono gli occhi ancora più a fessura di quanto non lo siano già, non abbiamo occhi grandi ma lunghi, proprio arabi.

Quando ero ragazzina per un pescatore di Favignana quasi quasi ho mollato tutto per dedicarmi alle conserve di melanzane. Non parlavamo molto, ma lui era la quintessenza, il valore assoluto di quello che ti vuoi trovare di fianco al mattino, di fronte a cena, accanto per strada. Quelli alti, biondi e glabri, alla fine, non garantiscono all’istinto la conservazione della specie. Anche le femmine a volte collassano in qualcosa di antico. Mi farò intervistare, io, la Signurina e in lingua ma non troppo perché anche gli altri devono capire, insomma lo sapete benissimo, le esclamazioni vanno in dialetto, i titoli in inglese, i concetti filosofici in tedesco, le parole prurignose in francese, la cucina in italiano, le etichette dei detersivi in spagnolo, le sfumature del bianco in inuit, un po’ di politica in russo, dio in ebraico o indi?

Boh, devo stare attenta perché prima o poi mi troverò un sacco di spasimanti sotto casa, altro che Carmelo! O era Francesco?

E comunque, adesso, sei più vecchio di me!”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 Tre poesie di Anna Franzò:

 

 

 

Per la mia cotta.

 

Pervenuto a metà del mio cammino,

Mi rivolgo a rimirar mia vita,

E in essa scorgo solo l’infinita

Sequela dei miei guai. Nel mio destino

 

Certo fu scritto, che sempre sbagliato

(illeggibile) ogni strada che il desir volesse:

Ora mi sono pure innamorato,

Come un grullo. A chi non lo sapesse

 

Dire vorrei: non è la prima volta,

Che questo accade. Ma la terza cotta

Ahimè, m’ha imbiscottato ed un mattone,

 

Nella fornace messo, avrebbe molta

Somiglianza con me la terracotta

Invidiare mi giova ed il mattone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quel bacio

 

Vidi tremare sulle labbra un bacio

Incoscio in pura bocca di fanciulla,

Ignara della forza che un nonnulla

Fa scaturire. E questo nulla è un bacio.

 

Vidi nel volto suo nascer qual fiore

Candido e chiuso un pudico timore,

Che crebbe e si soffuse in un rossore,

che parve il principiare di quelle aurore,

 

Che preludono un giorno senza vento:

Un sole caldo che l’arsura dona,

L’arsione della sete il gran tormento

 

Che uomo e donna nel deserto adona.

Allor fermai me stesso e me ne pento,

ora, quel bacio più chi me lo dona?

 

Venne in suo luogo

 

Pasqua è passata e primavera inoltra,

Col suo passo leggero e dona ai fiori

Le loro corolle. Quella cagna poltra

Di mia fortuna, disse all’alma: - Muori!

 

Che occuparmi di te poco mi giova.-

E fuggì via lontano. Atroce furia

Venne il suo luogo e gran piacere ritrova

Nello squassarmi. Feroce lemùria,

 

Con la sua foce, inaridisce tutta

La sorgente del pianto, ed in ogni bene,

Che lo spirto creava, se ne muore

 

Come, a la vampa estiva, vedi il fiore

La sua corolla accartocciar. Sostiene

Impari lotta l’alma e n’è distrutta.

 

Ed ecco vigilarmi.

 

Francesco Lauretta