Francesco Lauretta

Intorno al mio privato

"Quello che leggerai, se ci riuscirai, sopra, dicono intorno al mio "privato", sono
come dire, la mia" opera grafica", uno scarabocchio perché di tanto mi servo
per il mio lavoro, per mettere a fuoco le mie visioni, tensioni."


Di Privato ho i brividi.
Faccio fatica a ricominciare daccapo. Stai calma! è il quadro, il primo che ho realizzato e che
sembrava il più semplice ma soprattutto pareva (già) finito. Invece mi sta mettendo alle corde. Non
riesco a venirne fuori. Ci provo, mi sforzo, cerco di ragionare, di capire come intervenire e tutto mi
sfugge di mano, tutto diventa sporco, la notte, quella non riesco a sentirla, o la sento distante o come
se fosse appartenuta ad un altro. Ho provato di tutto, con il fuoco, con il carbone, con un velo verde,
con mani fatate, con il martello, niente da fare. Ho sbagliato qualcosa e temo di ricominciare
daccapo, di buttare questa tela, o cancellarla. Incredibile. Raramente mi capita di non riuscire a
governare le difficoltà di un'opera. Forse non sono riuscito a fare due quadri, uno perché
effettivamente era complesso, quasi impossibile e l'ho dovuto rifare. Un altro semplicemente perché
l'ho bruciato - fu un incidente - . D'altronde anche questo è frutto di una ingenuità, un errore tecnico,
un solvente diverso, un'attenzione diversa e i colori virano tutti, non uno risponde a quello che
normalmente dovrebbe essere, la notte sfugge, il quadro si fa dannato, e a niente serve inseguire una
soluzione, soprattutto quando la si interpreta come "accomodante", la correzione se mal riuscita per
quanto buona possa suonare, farsi vedere, è un orrore o almeno lo è per me. Se l'opera non dice il
vero, se è qualcos'altro rispetto al desiderio va distrutta, negata, mai salvata. Riproviamo. Prenditi i
guanti bianchi, ricordi? I guanti bianchi servono per dimostrare rispetto, cura verso i propri
strumenti di lavoro, Auto da fé. Due anni fa con Carnino e Fontana partecipammo ad un festival del
cinema nel Monferrato. Mi toccò fare l'attore. In qualche modo interpretavo non dico me stesso, ma
un pittore "innamorato" e "diabolico". Mi viene da ridere se penso a quei giorni. Fu in quella
occasione che ebbi la fortuna di conoscere Marziano (Fontana). Ti assicuro che fare l'attore non è
affatto divertente, è noiosissimo. No, io recitavo bene, anzi, non dovevo fare assolutamente nulla se
non dipingere, accendermi una sigaretta, segnare il destino d'una storia d'amore. La sera ci
ritrovavamo tutti - saremmo stati un centinaio di persone- in posti magnifici ed erano serate davvero
piacevoli, animate. In quella occasione adoperai i guanti perché mi piaceva citare il protagonista di
Una testa senza mondo, di Un mondo senza testa di Un uomo senza testa, Kien. Ricordo che una
coppia di registi romani volevano che mi trasferissi nella capitale, e cambiare mestiere. Con i
guanti bianchi proverò le correzioni, suggerirò alle mani di pregare, i tanti spiriti ardendo.
Così mi preparo il mio caffè, il bicchiere d'acqua, due rigoli. Devo riuscire in quella notte ma so che
fallirò clamorosamente, oggi, domani o almeno fino a domani. Poi sarò nell'Isola.
Non bisogna mai fidarsi troppo dei quadri.
Ieri stavo tornando a casa e ho letto una scritta di vernice rossa nel cancello che introduce nello
stadio del paese. Sì all'amore e allo sport, no al razzismo negli stadi. Sono andato avanti, solo una
manciata di passi e mentre passavo spostavo foglie gialle e morte di stagione. Pensavo: Avessi una
rivoltella o avessi avuto una rivoltella, ma è lo stesso, mi sparerei un colpo in testa o mi sarei dato
un colpo. Vedi che è lo stesso? E se non avessi fatto questa cosa a me a qualcuno avrei potuto
sparare, o sparerei a qualcuno. E' proprio vero, è la stessa cosa avessi o no avuto la rivoltella sarei
già morto o lo sarò domani come qualcuno avrebbe potuto fare quella ignobile fine, ieri o domani
che fosse è proprio la stessa cosa avere o no la rivoltella.


Ce l'ho fatta. Ho piegato le opere, sei. Forse dovrei registrare due piccoli errori - o correzioni ma
sono cose che vedo solo io, posso concedermi questo - . Sono riuscito a chiudere con questa
avventura incredibile e che mi ha piegato, distrutto, provato psicologicamente e fisicamente ma
insomma, ce l'ho fatta. Sono riuscito a mettere in mostra un progetto, ho gettato al mondo un mio
mostro, spiegato ma sono stanco, sono svuotato e non ho forze, non ho niente. Sono finito. Rifletto
questa fine come una Fine e non come un inizio. Non ho possibilità, nessuna. Non abbiamo scampo.
A. ci dice la fine. Noi registriamo e approfondiamo questa fine. Non abbiamo scampo. E' anche per
questo che non mi comprendo artista. E' anche per questo che m'impiego verso questa fine e con
furore, con abbandono anche, sfinito come se un Tir mi avesse trascorso sopra. Sento questo e lo
sento magnificamente, magistralmente. Faccio fatica a tenere gli occhi aperti oggi. Ho chiuso il mio
rapporto con il mio vecchio lavoro, quello che mi permetteva di avere un ruolo sociale, di potere
scorrere forse una vita normale. Un passo. Fu un passo decisivo quello perché ho potuto registrare il
percorso definitivo, la caratteristica di una vita che prova senso verso una fine, verso il finire delle
cose, un anticipo. Ogni mostra è un rilanciare più in là questa fine, questa destinazione, infine
scomparsa. Non provo possibilità, una e sola, questa. Ho terminato le mie tele. Le ho riviste con
attenzione. Ho registrato comunque un'opera, grande comunque e senza possibilità alcuna. Sento
grata questa fine, sento come morire, spegnere l'unica possibilità della fine. Questo sento. Non
credo che qualcun altro possa sentire allo stesso modo, non davanti a questa Casa. Quel nettare
giallo sarà l'opera più bella ch'io abbia mai compreso. E' incredibile, questa emozione. Quanto
Requiem, quanto offender gli occhi di luce! Finirò in breve, magnificamente. Ascolto la quarta di
Brahms... è finito tutto, tutto. Con questa mostra ho dato inizio alla mia fine, come artista, come
uomo che vive al mondo, come prossimo a sparire. E canto, canto e danzo,
, arrotolo tutto
perché scoprirò al mondo quest'inferno del vivere morendo, di questa morte eterna, di questo finire
incessante, di questo collasso sapiente, per me, e basta. Così basta, per oggi basta, finisce così: non
eri arrivato a tanto, no? A vent'anni come potevi saperlo, intuirlo? Eri già nelle sue braccia.


Certe volte abbiamo bisogno di musica, non è vero?, di leggerezza certe volte, è vero ho aperto gli
occhi e riuscivo a vedere il gelo abbattuto sui vetri della finestra ma non osavo spostarmi da quel
centimetro talmente concentrato che sono diventato demente e ho potuto ascoltare ogni cosa
regolarmente, un colpo di tosse lontano, l'accensione di un'automobile dentro la mia testa che mi ha
fatto sobbalzare, l'annuncio di un treno in arrivo e in partenza e poi quella cantilena che invita a
stare attenti a non superare la linea gialla che tanto m'inquieta, allarma, "non superate la linea
gialla", 'fanculo che mi prende un colpo così a volte c'è bisogno - o desiderio - di potere ascoltare il
Salmo 126 Nisi Dominus RV 608 o di un Magnificat RV 610a per soli, due cori e due orchestre,
un'Antifona al Nisi Dominus: Benedicta filia tua Domino; o altro come a danzare, abbracci lenti di
spazio lasciata una dondolo, i numeri, senti o così credo d'avere sentito, così centimetro un sogno
stracciato dal risveglio e cos'avevi sognato?
Il tuo respiro ansioso e regolare, la sveglia toccare un tempo, regolare-regolare, no, non mi alzo
stamattina, non voglio perché certe volte non si hanno più forze, certe volte lo spogliarsi ascetico
della melodia accompagnata dal semplice basso continuo evoca la sorte degli uomini che si alzano
prima dell'alba per guadagnarsi il pane. Ma così non sto guadagnando niente, sto consumando e mi
si presenta di nuovo la strana notte, l'ingresso, quello brutale e il primo quando ancora non sapevo
niente, non immaginavo no, di potere inventare un mondo, anzi, che un mondo potesse poi
sorprendermi "più" vecchio, e qui torno, e tremo perché certe volte bisogna ripassare all'inferno,
arrostirsi bene se si desidera di provare ancora quanto rimane, quasi il resto, niente: vivi finché è
centimetro; erano le undici del mattino e vedevi le lancette delle undici o come adesso mentre Sara
Mingardo canta e ti mena il cuore e sputi sangue e ti pare di lasciare al mondo Quanta bellezza,
quanto infinito a Lasciare che devo alzarmi subito, adesso per sei caffè, subito subito altrimenti il
furore celeste scoppia come il tuono e si abbatte come il fulmine
Non riesci ad ascoltare un coro cromatico Et misericordia? Devo scrivere al mio gemello. Me ne
dimentico. Va bene: correrò nella statale di giorno, primo pomeriggio che porta da Noto verso casa
e ripeterò la stessa di notte e lascerò il campo degli ulivi alla mia mancina e seminerò questa corsa
come a provare una quiete quasi fosse un surrogato all'eternità. Certe volte è notte anche di mattina
e quando si fa notte mi sveglio, davvero, certe volte non comprendo se il mondo è appena finito o
appena incominciato, ormai. Guardo e sento che devo rifare tutta questa notte, ridipingendola, senza
nero, assolutamente. Doverci morire, che fatica! E allora tiro su la caffettiera da 6, ogni tanto
succede al risveglio che suonano i violini, altre chitarre a volte mi sento vivo dal niente, sorrido
semplicemente perché (a volte) sono come un abusivo al mondo, vivendo come vivo come uno che
non ha guadagnato, ma non si può pretendere
Eccolo il mio caffè, buongiorno mondo!


Allora Vieni!, è lì, invitante, come andare a visitare Il villaggio dei dannati dove gli uomini e
perfino le mucche si addormentano di colpo, ma che razza di mondo si stava avvicinando? From the
house of the dead. Faccio fatica a respirare, Sorrido perché se vedo, Vieni!, se mi giro sciami
d'angeli planavano, ma così non è. Eh, cosa cantate, voi? Non ricordo i titoli. Sono riuscito a
formare dei muri all'ingresso e sono stanco, alla prova degli anni vedo terra e 'mane dopo una lunga
notte ho visto cielo, azzurro chiamo reale, o era blu? Di giorno intorno a queste mura dalle labbra
livide non c'è aria, e smettetela di urlare, voi! Che minchia, né ali né voli, 'fanculo non fatemi
arrabbiare perché diversamente non offrirmi tenerezza? Ho compreso un'opera tremenda. Me ne
rendo conto adesso mentre uno dopo l'altro passo in rassegna tanto regno - dei morti - che abbia una
vita a rischio. Eppure sono convinto che non ci sono più fessure dove me ne posso stare, nascosto,
un come a dire dove son capitato...? Eccòlo mostruoso, giallo, mostruosa bolla quasi un Ubik,
eccòla l'arena. Ci andavo spesso una volta. Qualche volta le ho anche sognate, le arene. E devo
coprirmi. Mi metto su una maglietta nera, una maglietta nera, un'altra ancora con maniche lunghe
nere - la maglietta è bianca- un'altra nera e la solita, quella che le abbraccia tutte quella rossa, un
pettirosso, ah, sì, un pettirosso quasi, piangendo ho freddo, diavolo! d'un freddo c'è cielo fuori, c'è
sole che forse sarebbe meglio indossare il vecchio cappotto il berretto uscire fuori urlando appena
appena vicino l'animale, riuscirò mai a smettere, fuggite! ma Tu devi entrare qui, così dice questa
casa, dì, stai sempre lì? Le arene sono interessanti perché tengono le belle/belve perché evocata,
musica felice esseri-in-vita perché è possibile, lì tra i morti sentire il respiro, in quei vivi, corto il
loro canto e devo uscire, cazzo o altrimenti impazzisco in tal momento Nel paesaggio nervoso, varie
figure accanto, devo uscire fuori c'è vento c'è freddo ma c'è sole, isole, c'è rumore, e puoi ficcare gli
occhi, potremo ancora salvarci, davvero. Dove andrò sarò losco. Come un buon pittore. Perché
posso dipingere qualsiasi cosa, un vaso con fiori, una testa nell'aria, un abisso, un guaritore, la
ruggine, la mia pelle, un corvo, un mantello dove muovere gli occhi. Canta Parsifal! l'ansia che ti
prende, sì, uscirò fuori perché senza documenti che accertano la mia identità ovunque muovi il
paesaggio, è losco. Ho costruito muri e mostri, privati, e ancora raggiunto fuori, sùbito fatto a pezzi
e a pezzi, devo guarnire l'inizio, ci vuole solo un po' di pazienza, pregna la primavera pazienza, sì
devo uscire prevedendo il freddo, un'ora sola, al vespro prima che questo sole ci abbandoni, rosso,
vai l'utilità della sofferenza, quei blu per strada impastati male, che fossi. Un trenino è passato
possanza di merce, alzo il volume e frullano gli archi, mi tolgo la maglietta rossa, metto su ancòra
nero, il pastrano e il berretto e i guanti, a rovescio smania a battere il tempo, i denti, passeggero
lascio la dondolo che libera oscilla paurosamente.


Non so, quanto ne abbiamo oggi? Ho perso il conto, non mi ritrovo più a meno che non mi alzo e
mi trascini verso un calendario elettronico ed inizi a sfogliare i giorni, questo sì, è passato, via!
quest'altro lo stesso, poi, ah, ecco, questo deve ancora venire, vediamolo com'è, no? Bisogna
aspettare ancora, un 26? Come sarà un 26?, e se andrà male, e se non lo buttassi via già adesso
tanto chi se ne accorge, no? Cos'è un 26? Un sabato, no? Una domenica? E se è una domenica è un
giorno di festa, oh, sì, per molti sarà un giorno di festa ma a me non piace festeggiare e se buttassi
anche quell'altro giorno, ma sì, l'altro, chessò, un venerdì 17, stupido giorno, un 27 anche, insomma
devo ordinare questi numeri per capire il mio tempo, di quello trascorso non so cosa farmene, di
quello avvenire tremo e del presente soffro. Beh, e allora cosa fare, così? Un diciassette così?
L'isola di san Michele ricordo le tombe, alcune divelte e dei cipressi neri il traghetto che mi portò
laggiù, in fondo - forse ci sono stati giorni belli in passato e forse ne verranno ancora, forse ci sono
semplicemente giorni, né belli né brutti e forse sono gialli come questi, come quelli che tu sorridi,
bambina, e io rispondo, bimbo. E' meno buio oggi e mi trascinerò fuori presto quando non sarò uno
spacciatore(?), un violentatore(?), un pericolo pubblico e non mi porto mai i documenti appresso
perché senza posso essere chiunque, va bene, un "buon pittore" perché mi hanno detto di dire così
ma chiunque può esserlo, un bravo pittore un violentatore, uno spacciatore ma io in giro così riesco
a cantare, riesco a dormire o trascorrere brevi pause all'inferno e, poi, posso anche danzare,
dipingere il cielo a mio piacimento e oggi metterò su un bel rosa salma durante, questo vespro poi
butterò i miei occhi come semi nei campi , li lancerò lontani e il silenzio piegherà questo
pomeriggio, arderà il giorno, si dimenticherà, se stesso intendo e proverò a non diffondere la paura,
il dolore e magari incontrerò il vecchio signore e il vecchio cane e magari farò biri-biri al cane o
magari glielo farò da me a me, biri-biri, penserò stupidamente e passerò loro vecchio anch'io, pelato
e grasso, una bestia un tossico uno che non può non diffondere la paura intorno, un'aura intorno la
mia risata, non ti dice niente la mia risata? Un bimbo imbronciato e mi sposterò. Tu ormai rimani
lì, al mondo! Io, no, esco fuori. Per me il giorno è già finito. Uscirò fuori adesso e assieme
all'umido butterò questo 17, non ho più niente da donare, niente da avere. Apro la porta dal retro
perché non c'è più luce perché è l'oscurità, perché probabilmente dovrò abituarmi a vivere qui, sul
retro, più tardi, appena il tempo di lasciare la dondolo, ricordo una canzone, "my love", l'inverno dei
fiori fuori e vado a spacciare, a mani giunte, vado a violentare, a ridere verso qualcosa, 'fanculo!


Caro professore, va bene un po' di ordine. Torno al mio Privato per chiudere i versi. così ho
chiamato il mio bambino, cantando una filastrocca cantando:


lascia stare i rossi, l'ordine della tomba
e non temere per il fiato, non stai
morendo e la testa è tua,
le trame delle teste col tempo
importano poco l'immagine,
la frenesia
esplode dentro e la testa
Le tue teste come le mie saranno e sono state.
Vedrai domani amore mio.
Non temere non hai bisogno del cattivo respiro,
no e così, di là della morte ti ho tirato su,
a te e a te, al mondo. Ai tuffi nella morte.
Devo avvisare i suonatori.

Ho freddo, le braccia braccioli dondolo, i suonatori alle mie spalle il bambino, inizia a giocare, io a
cantare e tutto e lentamente s'anima, una vertigine lentamente afferra,
perché sento al petto, prima al petto muoversi qualcosa, schegge di giallo, violento, le cuffie, metto
nelle cuffie la luce densa che entra, al solito del vespro, quella che s'insinua tra i merletti delle
tendine bianche, sputi, alla tosse schegge gialle e il corpo soffre, si scuote intorno a me, con tosse la
dondolo oscilla paurosamente il bimbo gira giro tondo, al mondo e ripete la filastrocca: lascia stare i
rossi, rigirando nella tomba, Ah, sospiro! Il petto giallo, cedono pezzi, pelle come mattonelle rotte
che si
lasciano cadere, di ceramica gialla, quel giallo dei tre gialli, fruscii, una pausa. E come un rettile il
verde viene, inizia a strisciare ed inizia dai piedi, entra dai piedi divorando, il verde, sale, il verde è
come un rettile che s'ingrassa mangiando, i piedi, poi lo stinco sale, Ah, sospiro!
Essere benedetto che tradisce una vita, sì, ci credo, l'opera migliore. Ho tagliato un pezzo, il cuore
bolle, è lava che sputa e bolle. Ogni tanto i suoi pezzi incandescenti bucano le ceramiche gialle, il
petto diventa insopportabile l'assolo la dondolo oscilla veloce, la schiuma si versa, evapora,
funziona, quasi fosse una cosa buona,
non fermarti, tu!
Coglioni in polvere inizio a versare olio sul mio cranio, a friggere questa testa lasciare questa testa
al gioco del mondo, sarò bambino il mondo si sta spaccando il verde continua sordo a salire, come i
topi divorano, sale, ormai ha afferrato le cosce, altri tempi erano i bei tempi con tante teste, Amore,
in lungo e in largo " da Qualche parte", - titolo - hanno smesso di suonare i musicanti e sfrigolano
gli strumenti. Qualche scintilla, basta. Mi alzo, ma Tu continua a giocare, più tardi toccherà alla
bambina, gemella, vociare. Avrò cura di voi finché non sarà tempo. Cacate verdi intorno, a chi
pregare, adesso? Ho toccato la guancia.


E' buio. Accendo il mio faro, debolmente basso. Mi giro intorno, i piedi scalzi ma ho freddo, alle
mani. Sento il ticchettio della sveglia inquietare il mio tempo, mi giro. Vado verso i miei dischi,The
diary of one who disappeared, poi cambio registro, mi fermo un momento, rifletto la foto del 1947,
rifletto il rovescio d'acqua di una notte lontana, mi fermo ancora. Vado verso il faro e spengo la luce
debolmente bassa e si fa buio perché nonostante c'è luce è buio, fa buio e mi preparo mentre fuori
sento qualcosa che batte violentemente la terra, forse sta per finire tutto, penso, ho spento il faro,
sistemo la dondolo verso La bambina e cerco, so cosa devo ascoltare adesso in questo vespro buio ,
profondamente buio, ti strozzerò, sveglia! Una tazza di caffè appena tirato su, nero, non proprio
bollente, amaro come piace a me perché è dolce, Sergei Taneyev, il quintetto e parte il piano,
timidamente si introducono i violini, il violoncello, la viola è buio e nel buio riesco a vedere il suo
sorriso, sento la profondità di quella notte perché pare questa, perché mentre guardo anch'io mi
sento tenere, a dondolo, quelle teste, un ventaglio di teste e anch'io sorrido di giallo, non ho il
fazzoletto azzurro in testa ma il berretto di lana nero, nerissimo che anche gli occhi mi diventano
neri, il viso nero come carbone, il nero freddo che assorbe cose, gli umori, i soli respiri degli
strumenti graffiano l'aria, i respiri delle mie teste l'affanno, soffri. Un sorso. Mi alzo e mi trascino
verso la finestra e scosto un poco la tendina bianca. Vi lascio vedere fuori e fuori ogni cosa pare
bianca, qui, davanti alla finestra guardo fuori. Come dire, tutto qui, come dire di non dire niente a
nessuno, che dietro ci siamo noi, qui, dove non so dove perché forse siamo morti comunque, questo
passato scomposto ed irraggiungibile adesso, mi giro col sorriso incontro quello di lei, bambina,
inizio a comprendere quel sorriso mentre il mio tiene su un teschio, mi fermo, le mani fredde le
sento perché accarezzo le ossa, i denti, quello lasciato nel piatto, Scherzo, Presto - Moderato
teneramente - Tempo I e fischietto, arriverà il tempo Largo, i nove minuti e trentacinque secondi e
la serata splenderà, il vento soffierà forte, null'altro da segnalare alla polizia. Stanotte luminosa la
luna splenderà se non qui da qualche parte, al mondo, per alcuni sarà la prima luna, per altri ultima
e per altri ancora un modo per entrare nel buio, come buio di questo vespro piegato, un altro sorso:
"la mia carezza per amarti ti guarda negli occhi"; è Largo, finalmente, bisogna ascoltarlo con
attenzione, petalo su petalo, ... e "io mando la mia voce dentro la tua bocca" e sento fuori, qualcuno
scavare, scosto la tendina bianca, un pochino scosto, non vedo niente, sento qualcuno smuovere la
terra ma non vedo niente, davvero, solo bianco.


La bambina, sostanza dei morti. Segui le mani, i segni dei polsi lì, ne curo il sorriso e per la bocca
impasto, per una bocca così, di bambina sostanza dei morti venuta qui a giocare e per sorriderci
così, un sorriso così composto:
di terra di siena bruciata, terra d'ombra bruciata, col cinabro verde scuro e nero d'avorio, con giallo
di Napoli rossastro e bianco di titanio e blu reale chiaro 405 e uno sputo di giallo cadmio di limone
chiaro 082.
Bimba Al gioco del mondo, capezzoli tesi al fuoco al freddo giallo, sorridi, pareva di sogno la vita,
accarezzi un sogno sorridendo a noi, mortali, A me, A te, A noi mortale. Uscirai da questa casa solo
se sarai perfetta, solo se sorriderai, felice lì. In quella notte. Immobile eppur così tesa, a lungo
accadrà qualcosa del gioco, un inizio, o è vita, o è morte o altro ancora, quel luogo così tuo, così
mostrato pare possibile, impossibile a crederlo quasi, s'è mai visto un posto così?
Io ci sono stato. Molto dipende dagli occhi da quanto sanno vedere, da quanto il cuore sentire,
scoppiare, mancare. Di chi sei figlia?, di chi è figlio il tuo gemello?, Ascolta, un valzer quasi,
qualcosa che faccia muovere le natiche, devastare il petto come quello di quel povero Cristo dal
naso rotto, un vomito nero e rosso, e giallo, è il giallo che spiega quella magia, quell'incanto,
quell'incomprensibile sostanza, sorriso. Ci lascerò gli occhi lì.
Non lo so.Il gemello è stato facile con una testa così. Qui è diverso. E' così difficile strappare il
sorriso, quel sorriso, è così difficile mantenere le mani giunte, il polso pulito, in piedi sulle proprie
gambe, qui. Devi riuscire a sorridere bene se non vuoi tenere paura, sola, lì, sola due volte, Al
mondo lì e io, io devo assolutamente intervenire al sorriso, sorridendo nonostante tremi, temi
qualcosa: dì una preghiera, ce la devo fare!
E' anche per questo che prendo tempo io-tu non andremo fuori finché non saremo perfetti.
Altrimenti la notte può scoprirci nel totale inferno, starnuto nero. E il nero è niente, non sarà opera,
al nero. Non finire qui. Mi toglierò la maglietta rossa, quel pezzo di vomito dal petto. Piegherò bene
la sostanza e l' adagerò qui, sulla dondolo, sopra il cuscino di carminio d'alizarina, Natura renovatur,
a piedi nudi giallo verdi, perché devo andare adesso, non posso sostenere un grammo adesso, di
tensione, la quiete marina sta lì, Al mondo dove è La bambina, dove il suo gemello, e in questo
miracolo che mi sono portato sognando, morendo, i raggi eterni della notte, bambina, uscirò fuori
perché s'è fatta insostenibile questa luce e, è anche per questo che ti inseguirò, sorriso, per
schiacciar via i pensieri tristi, ogni pensiero poi e dimostrare al mondo un sorriso sostanza dei morti,
così devi stare in eterno.


Ai giardini, i soliti, dove la natura pare fatta di plastica e i cani danzano di notte quando c'è nebbia.
Ho risistemato il riso bambina. Il riso è giallo. Ho preso solvente e lavate le mani, sciolte le ultime
macchie di giallo sono riuscito, furioso, per sfuggire alla mia stanchezza dei secoli nei secoli, al suo
tempo e mi sono portato qui. Per un momento sento umano, un cane abbaiare l'osso o il bastone del
padrone ma non sono i cani di Flaubert questi, ma son fatti d'eterno questi che stupidamente
abbaiano, che fanno sorridere, qualche uccello e curiosamente non vedo né sento le cornacchie e i
corvi, lo scorrere delle automobili, il chiacchiericcio lontano dei vecchi alcuni comodi in un panca
altri si reggono in piedi. L'umano grigio, i colori d'autunno così belli, eleganti e discreti che portano
sonno, fanno dormire questi colori se si osservano attentamente. Una signora passa. Ho chiuso gli
occhi e l'ho sentita passare. Il suono dei passi che si avvicinano, ti calpestano, passano e si
allontanano, finiscono. In tasca trovo un cioccolatino ghana + ecuador cocoa 60% avvolto in una
carta grigio argento. Non so che farmene e lo scarto, lo mangio, lo mastico lentamente. Il sapore si
dilata clamorosamente è dolce e mi fa sete, non amo le cose dolci, mi fanno venire sete e
m'ingrassano il palato, i fianchi, il dolce è come l'aroma dell'aglio difficile da togliere,
fastidiosissimo. C'è una fontanella alla mia destra. Mi sposto, vado a bere, 'fanculo! Fatto. Passano
due cani con i rispettivi signori, " o guardare i disegni del gioco del mondo, riti infantili del
sassolino e del salto su un piede, per entrare zoppin zoppetta nel Cielo della Domenica". Anch'io ho
giocato. E ci ritorno, grande, suonano le campane, è l'ora ed è già sera nonostante quattro siano stati
i colpi gravi, uno quello fasullo, in levare. Prima, mentre mi spostavo da queste parti, ho visto un
vecchio signore e un vecchio cane. Li incontro spesso verso la stazione. Il cane è davvero buffo,
uno spinone lungo e basso dall'aria malandrina per quei dentini inferiori leggermente sporgenti,
tozzo e di colore indefinito grigio marrone, con due ciuffetti sopra gli occhi e due baffetti birichini,
di primo acchito sembra cattivissimo ma poi lo vedi avanzare, lento e sornione, che quasi pare
vederlo ridere, con quel cappottino scozzese stasera, davvero, gli mancava solo una pipa e saremmo
scoppiati tutti e tre a ridere, io lui e il suo vecchio padrone. E' bello vedere e immaginare un cane e
il suo padrone così, passeggiare nel tempo. C'è filosofia in quella camminata, l'orrore e forse nella
coppia non saranno sfuggiti a Flaubert, non quello dell'Educazione, l'altro, grottesco di Bouvard e
Pècuchet . Ho sonno, qui. Penso al giallo, all'inferno, all'eterno. Mi sistemo il berretto, mi vesto di
nero e m'alzo, fischietto la cantata profana e i cervi scappano, porterò a bollore l'acqua e ci
annegherò un broccolo dentro, stasera. Respiro lentamente respiro, "Stai calmo!" ripeto, Al mondo
vado, ancora le campane ma stavolta non sembrano abbattere l'ora, sembrano stridere di festa,
cazzo! , ancora zanzare, vaffanculo!
mi allontano, via


I soliti giardini del cazzo. Il cielo è bianco come questo ridicolo foglio dove sputo, una sputacchiera
brandendo l'ascia tolgo pezzi di pelle, dal naso, dal mento, dalla fronte, dal petto dai piedi rossi. La
faccia si disfa, non c'è rimedio, di là si passa. Stanotte ho potuto ascoltare il pianto dell'amico.
Sempre stanotte ho potuto visitare un altro amico, fallito. Non c'è ostia, abbiamo mirato male, di
corpo perché quando poi ci siamo ripresi il guscio cranio è stato buio, pioggia, inferno - o inverno?-
masse morte di sogno. Allora perché tirare avanti, perché l'affanno senza speranza perché
amorevolmente ti stacchi i pezzi dal naso dal mento dagli occhi e poi li poni per terra perché lasci
che i vermi.
un cane bianco, è con furia che dal bagno ho preso Nel paesaggio nervoso e l'ho inchiodato al palo.
E' con furia che ci ho steso la sborra. Qui sono. In terra d'Origine, qui bestemmio e arranco per quel
che sono, niente. Ho grugnito davanti a quel quadro notte rifiuto e di fame mio cranio mobili duna
vedo ciottolo morte cascando le volte amare pompe funebri arrostito di vergogna le condizioni che
non ci sono in giro freddo fianchi campana cinque, 6, 7, 8, 9, 10, ancora un colpo stupido, il levare
battimani i cani si prestano alle carezze , globi dei tuoi occhi, topo-torre, 'fanculo ai passi, cosa vuoi
trovare dopo. Per il teatrino proverò ad indossare costumi giallo verdi, andrò all'Upim e lì troverò il
berretto rigorosamente di giallo una cupola in testa devo avere un abisso dei bisbigli, quasi
marziani, sputi, ho freddo, cazzo e puzzo di fiori marci, mi alzo. C'è una furia di freddo che afferra i
gemelli, prende a calci in culo il bimbo, planano i corvi due-tre i cani sono portati a casa alle dodici.
S'è già capito tutto del giorno all'ora, per seppellire, cascando. Andiamo dice il vecchio padrone al
suo stupido cane.
Orthrelm, OV
è appena giorno che è notte.
Il corpo pare frustato dal freddo e metto su qualcosa che stride contra pioggia tanto plumbeo, lo
stomaco, la merda dentro la casa Stai calma! metto una musichetta, un Concerto per la solennità di
S. Lorenzo RV 556 che schizza subito con un allegro molto, sai? Poi riavvio con Clarae Stellae,
scintillate, poi uno Funebre e lo Stabat Mater ma almeno canta Sara e la Sonata 4 al Santo Sepolcro,
dio mio, ma cosa ascolto con una mattina - notte così? La musica è diffusa. Mi fa ricordare il fumo,
quando fumavo come un pazzo riempivo una fitta nebbiolina a mezz'altezza nella stanza. Sopra
sotto, perfettamente e non so per quali equilibri che spesso giocavo a mettermici dentro o una testa,
o mezzobusto, un medio dentro quella coltre bianco grigia così mi pare l'ascolto, quest'ozio sonoro,
'mane. E riesco anche a sentire lo scalpiccio della pioggia che mi porta verso la prima pioggia d'una
notte lontana, sì, quella della prima casa. Mi preparo il caffè. Il mio sdegno è vano. S'amplificano i
suoni o s'impastano con i rumori che sento in me laboriosi, celesti tra i selvaggi dolori indistruttibile
sta la croce, al centro. Poi, davvero basta poco per dire che io vivo di giorno, basta cambiare
musica, no? Ma questo lo farò più tardi e solo quando alzerò la lancia verso quella mostruosità,
quando proverò ad infilzare i fantasmi come polipi nella notte. Poi dovrò sbatterli per terra o
prenderli a morsi. Non si fa così con i molluschi, i fantasmi della casa? Ah, che freddo, troppo
presto non bastano poche ore per spianare una notte così pregna
OV, fogli appesi così bianchi e inutili lì accanto alla notte, sono fogli che non servono a niente così
impiccati per sostenere solo la notte, fogli inutilmente nel tempo della rabbia e picchiano, e già!
Non l'avevo detto? Non ho detto ciò che è presto cenere? Bastava cambiare ritmo, rumori
aggiungere, un "gridano" in te la vita ed ecco quanto si è perso, quanto potevo sfavillare, non
sapere come si scricchiola adesso, torcendoti, e nella furia né sangue né memoria mi schianterò lì,
lo so, lo vuole a muscoli pieni si raddoppia la fatica, lì tra i fogli impiccati e bianchi e inutili
consueti strumenti ciechi di ogni meta, là, come mi aspettassero prima dalla morte, sì, mi attorciglio
crudelmente uscirò fuori, presto la morsa del salto. Non posso sprofondarmi all'inferno nel puntocrisi
subito, così, devo prendere, respirare prima, tempo. Ostile. Sentite che freddo? Intermittente è
il cappio però, l'argilla tenace qualcosa sopravvive, nella dialettica del buio. Allora mi preparerò i
vestiti, da indossare la corazza poi, una sciarpa rossa e nera spiegata là, la coppola nuova
graziosamente il pastrano blu scuro. Io sono tutto come a raddrizzare la schiena di cose inutili un
corpo-a-corpo, le lenti, le ore tacciono i cori angelici, ah, per forza senti come battono, un ciclone,
questi! Con pazienza contro al vuoto, al buio acquario, eccola casa! Forse riuscissi in questa
meraviglia, solenne, nell'impassibile (?) notte? Come un cigno nell'acqua, no, sono pronto. Non era
strazio se ricordo male, brrrr che freddo!


... "il ritmo, gli accenti", & l'ordine. Bene, ho soffuso la notte. Chiamo un amico qualunque per una
pistola, quale mercato, da Giacomin? O alla bottega del pane, senti? Sono aghi che offendono gli
occhi: guardali come brillano roventi, no, io non sono capace, nonostante la mole nonostante i
secoli d'impegnare anni in altre scoperte. Spengo la luce, affino il mio ghiaccio, allaccio i polsi ai
braccioli e mi lascio dondolare, dondòlati, senza scampo. Crescono. Spengo la luce, di nuovo. Mi
svesto. Non ho luce, losco, così sono al mondo, così spreco, e no, caro mio! Sono stato al mercato,
Ho cercato ho assorbito gli odori colorati intorno sorriso ai passanti in ogni lato, "qui ero" dicevo e
torvi loro passavano. Nessuno risponde. Ho visto le buste aperte, le parole parevano fuggite dal
covo e mi governano, terrestre lì, un'ora breve, sparisci! E cercavo, cazzo, provavo a vedermi
intorno vecchio e millenni e stanco, questa vera scoperta non ha più niente da dire, più soffrire, non
lo sapevo, che 'l riso verde, & giallo, non importa a nessuno. Ho scoperto questo viaggio, una
finestra tira l'altra, aperte, tutte da sfondare, che spavento! E questo è tregua. Mia signora perdono,
"io sono una tua creatura". Due mele lì, un metro arrotolato, gli indumenti dispersi nell'arena, è
notte e spilli solleticano i nervi. Non potevo sperar di meglio dopo i lutti, amore mio. La bottiglia è
blu. Il petto aperto. No più niente, dentro. Non sono resistente, no più. Grandi dita pizzicano i miei
nervi come corde di violino. Resistono. Sentite strida. Giallo gela, è la contro - tecnica là dentro, le
rire jaune. Incredibile. E' incredibile cosa scorre dentro questa testa, quanto giallo bile. Soffierò i
bordi di tutti i perimetri per deporre polline, all'abisso e al mercato non ho trovato niente, davvero,
ero uscito solo per ricordare l'insegna, cuore, vuoto, amore, assente, dio, fango plasmato sangue, in
mostra ci sarà sangue animato, là fuori. Non farò mai più. "Ti giro intorno". Una processione lenta
di nero, una caduta, un risveglio pauroso nella notte sentivi grida, freddo al corpo, nudo come mai.
La bellezza finita qui. Qui ho smesso bellezza, un morto. Di fronte al ponte col cuore sereno vedo il
male, le infinite sfumature del male, mi terrorizza l'idea di starci qui, girotondo dove nessuno passa,
Spengo ancora la luce. Respiro e sono morto, Qui entro e qui finisco, scavo. Ho filmato la Casa, era
il 24 aprile. Nudo fa freddo inizio dai calzini, una prima luce, mi verso del caffè, metto su un
occhio, intanto. Volgo il mio viso, radioso, verso la porta che rimane chiusa però, mi Arrendo.
Metto su la maglietta accendo la luce, di nuovo. QUESTO PRIVATO, DI PUBBLICO HA I
BRIVIDI. Mi metto il cappotto. Accendo la luce, ancora. Mi metto i guanti, la coppola, il pigiama,
il pizzetto, le gambe mi metto. Accendo la luce, di nuovo. Arrotolo l'ultima tela - che poi è la prima
- ormai mi mancano le mutande, i calzoni i calzoni, altra luce ancora. Infine:
guanti, pigiama, cappotto maglietta mutande e calzoni e calzoni, calzini sciarpa, dimenticavo la
sciarpa dimenticavo. Tutto rigorosamente nero. Poi:
luce, luce, luce, luce, luce, luce etc.
Infine tutto nero e luce. Le corde hanno smesso di suonare, tremare.


Clessidra


Sentite, smuovere i sassi di lato poi dietro a pelle
mi chiamano giù perché dal tombino fuoriesce merda.
C'erano pannolini dentro, sentivano voci strazianti
mi hanno chiamato, c'erano i miei piedi dentro.


Sentire, amore 6 chilowattora, su una porta murata, forata
una freccia indica dove puntare il dito, dove fiorire.
Ci si può accomodare, un fiore sopra l'altro appassire
Noi.


Sentite, lasciatemi andare, lasciatemi stare i piedi
lassù non so arrivare.
Non ho mente, sputacchiere, pigiama
ho vene, tramonti, moncherini per mani, i rasi si sono sciolti i nodi.


sentite prendetevi me, quanto rimane e ditemi dentro
i tombini, le poche cose, le stelle.
Quegli occhi non so che farmene, a ben vedere
al cielo.


E' buio, profondamente nudo. Raccontano che in India ci sono gli standing babas, asceti che da un
certo punto, e per sempre poi, trascorrono la vita senza più sedersi, stendersi. Dicono che
inizialmente le loro gambe diventano enormi, irriconoscibili, i piedi diventano informi come quelli
di un elefante. Poi, col passare degli anni diventano sottili fino a rimanere le ossa coperte da un velo
sottile di pelle come uno strato di vernice e dalle vene avvizzite simili a scie di termiti. Ieri sera ho
lasciato 1. Vieni! 2. Al mondo 3. Al mondo
4. da Qualche parte 5. Nel paesaggio nervoso 6. Stai calma!. Intorno c'erano i paesaggi di Valentina,
verdi, puliti scintillanti e, mentre spiegavo le misure, prendevo appunti in un pezzo di carta,
girandomi verso loro, lì, con quella luce potente, lì spiegati bianchi sul pavimento acidi, verdi e
gialli acidi provocavano fondi, pozzanghere dove potere immergersi, per affogarsi. Aciduli le dita al
naso, un'apnea, un giramento di testa , una decollazione per restare meglio, davvero. Non ho
cantato, no. Quando ho spiegato ghignavo (tutto) e saltellavo o mi muovevo come:
dicono che i dolori siano terribili, costanti tanto che sono costretti a non stare mai fermi, si
bilanciano costantemente da un piede all'altro tanto a formare quasi una danza delicata e ipnotica,
dicono che questa sofferenza, la luce dell'agonia irradiata dai loro occhi formi come una sorgente
luminosissima che si traduce nei loro sorrisi straziati.


Muovevo come ciondolando da un piede all'altro, il mio sorriso intorno indulgente, pietoso, tanto da
fare provare i brividi intorno, hanno messo inquietudine i gemelli dalle quattro teste & del senza
testa. Ho compreso, mentre vedevo quell'orrore perché i quadri di Valentina vanno tanto nelle case,
si accomodano nei salotti bene. Ma 'mane è buio e le mie mani natalizie sono deformi come i piedi
dei baba. Non provare a vedere. Un buio così se spaventoso è pur soffice, né sento il tormento, o se
lo sento tuona normale, abitudinario. Allora cosa hai fatto stamattina? Ho vomitato bile, un frullato
di carne, rosa violacea e aspetto, ansiosamente attendo che il vento soffiandolo ne asciughi i
margini, perché proprio lì dentro devo sistemare le stelle, una cometa, impastare un panettone,
affondare queste mani di elefante. Mentre anche gli occhi al buio iniziano a gonfiarsi. Che sia quasi
diventato un mostro? A quante teste?, una crozza sola? Aureolina schizzata, ovunque! Un disastro,
un disastro davvero.


Galaxy 2 Galaxy, non freno tu vorrei, volti recisi, di memoria vedi come trascorrere quel volo
presunto, quello schianto in erba, dimenticati oppure no, non credere attraverso quel malessere
attraverso gli occhi andare, raggelati solitari così provati vedevi cose abbandonate quando troppa è
l'identità è facile spogliarsi d'una propria forma, allora eccoti i miei pezzetti, tengo tesori con le
coppe delle mie mani, architetture, soli, tante coppe non si ritorna, indietro e neppur davanti vedevi
benissimo ieri nonostante l'annebbiamento - o non eri frastronato?- di ogni suono senza
riconoscimento "caro Francesco", non ho tempo, non bisogni al gelo, Galaxy privo di stelle di
sostanza mi confeziono come spettro alle tenebre, senza nessuna creanza vagavo così ieri ai Corsi,
pisciando ovunque sangue su e giù, scivolando nelle foglie marce in un silenzio di barbarie, come
puoi, tu? cosa pretendi, tu? Non fai altro che inciampare rinunciando alla bellezza migliore, ad
innaffiare di rosso i campi, l'arene, quasi febbre meglio che allontani, rimetter da parte l'inverno,
mai all'immaginazione, non credere, una mia specialità e mentre s'animano i sogni, bisogni, infiniti i
respiri dei delusi, l'andante sui fossi vedevo tutto e quasi con dolcezza accarezzavo quel bordo,
finalmente e quasi da sveglio. Ascolto i gabbiani e penso ad un bianco sconfinato uscirò fuori al
vespro nonostante gli impegni nonostante i colori siano spiegati come un piccolo esercito soldatini
verso la disfatta, una Waterloo, il carretto dei sogni mi buttava giù e io rovesciavo la mia testa nel
canale di scolo, infine come una biglia ferma nel fango, poi. E' finito così, questo, neanche un
tempo, senza inizio con fine, se vi si passa una mano con una spugna umida, farla fuori questa vita,
senza i futuri, è scuro, sei scuro, da evitare, niente. O sei ridicolo così sempre vicino da non poterti
toccare, me ne sto andando fuori quasi una sigaretta, un'occasione persa, le nuvole sono stolte di
questi tempi, come un fratello superiore mi tengono testa con ogni buio, o luce, lo stesso. Non ho
più un bel viso naturale, disegni intorno agli occhi, scuri di fuliggine e senza rossore, in un angolo
quasi a condurmi nel punto da cui ero uscito, mi hanno sorpreso a San Babila, attraversavo il
semaforo era verde e mi hanno condotto nel punto da cui ero entrato. Nonostante avessi una forma
inginocchiata sistemavo bene quanto mi danzava intorno, su qualche via adiacente scorreva la vita
mentre "me" stava come paura, a freccette lanciate ovunque, la porta del silenzio, spalancate
spalancate, invisibile alla vita già vedevo bene, le foglie zozze di piscio, di sangue, inossidabile il
mio tempo.


Via Oscuro, abbiamo lasciato lì la Ford nera di Paolo. Appena messo la mia zampa ippo fuori ho
sentito fango, stavo per affondare e ho dovuto muovermi con grazia con piccoli passettini quasi
zompando nella terra gonfia d'acqua ma, una volta staccati gli occhi dal suolo, quando ancora un
sole enorme, grande come una pallina di tennis e giallo di tre gialli, che potevi prendere per mano e
spostare come un ciondolo nel cielo blu sopra un ritaglio di colline che si perdevano verso
l'orizzonte dove ora spuntava una torre, due torri, altre torri laggiù, intorno un vecchio casolare,
grande, e anche qui, a neanche un centinaio di metri una grande torre, la fattoria di lato antica di
secoli di legno bene conservato, gli attrezzi d'una volta appesi e lasciati lì per sempre perché così ci
ha detto un veccio del posto, o ha detto a Paolino che curioso s'è avvicinato e ci ha detto che tutto
quanto c'era intorno era di sua proprietà, che era nato lì e che stava concludendo, felicemente, lì il
suo corso aveva una giacca a vento verde, o quello che una volta doveva essere verde, una manica
con più buchi dove spuntavano ciocche di tessuto sintetico come piccole sbuffi di nuvole bianche in
miniatura, le nuvole sulle braccia, ci ha spiegato che sta andando tutto in malora, la casa sta
cadendo a pezzi, ma così è stata sempre, li dentro non siamo mai entrati, il sole bruciava gli ultimi
minuti del suo giorno. Siamo saliti senza romanticismo sono andato avanti lasciando dietro l'amico,
vecchio. Ho lasciato affondare i miei passi nel fango. Ho pisciato tra i rovi. Una salita mi ha portato
verso la cima della collina mi hanno preso con forza e tirato su, avevo ali possenti una volta, ieri
insomma perché quanto sputo è avvenuto ieri. E mentre si stava volando abbiamo incontrato un
tappeto verde, una villa dove una volta forse eravamo andati a mangiare salsiccia e bistecche
ricordo o forse era un altro posto ma questo ricordo era in quel momento e lì volevi lì abitare un
tempo che ti portasse non solo con natura, d'altronde cosa te ne faresti solo di una bella spiaggia se
manca l'antico umano? Anche e solo una piccola traccia mentre le tenebre, ah, ci avvolgono
silenziose, le tenebre (amico) sapessi! Lascerò forse, mai avrò coraggio tutte queste dolcezze,
affronti agli occhi vedevo la mia ombra lentamente crescere a dismisura e finalmente snella che si
perdeva nei campi come a cercare scampo dal mio corpo ingombrante andava lontana, si perdeva
quasi, poi tornava e io senza lasciare intendere niente sorridevo, ghignavo quasi, finché non
abbiamo raggiunto l'ultima chiesetta. Piccola, gialla, un faro debole debole, sfinito, una panchina ai
piedi del campanile, bianca, dieci gradini e Paolo si è seduto lì. Io sono stato ritto e ho iniziato una
pantomima intorno, io e la mia ombra intorno abbiamo iniziato, io a parlare, raccontare di questa
vita, di come è stata e l'ombra a danzare, esperta. Non è quello che mi è stato intorno ad essere
storto, no, ad avere assunto pieghe impossibili da sostenere no, sono io che sono stato modellato
senza avere una forma, che mi sono impegnato a formare un grumo che potesse avere una forma
graziosa e, diversamente sono stato abile a diventarmi grottesco, infine. Le luci erano d'arancio e
d'un blu elettrico. La danza s'è spiegata lenta, le parole si sono perse nelle colline, come fumo
bianco nella notte disperso, se ne va via s'espande e già a pochi metri si dissolve, si perde, scompare
forse laggiù è possibile individuarne tre parole, cos'era? una a, una nausea di parole, una y, come fai
a dire una y? e questa scenetta si svolse delicatamente, dall'alto era possibile distinguere le due
figure amiche, anime inquiete, una scomoda e seduta in una panchina bianca ai piedi di un piccolo
campanile di una piccola chiesa abbracciato al suo giubbotto scuro, l'altro davanti con il suo paltò, il
berretto nero, la sciarpa grigio-nera, le scarpette rosse che s'avvolgeva ora come un angelo ora come
un demone intorno a quel mantello, nero, Amore mio, che splendeva o moriva in un batter ciglio,
infine. Moriremo in fretta amico mio, stai attento dove metti i piedi durante la discesa, troveremo la
macchina, peccato, la troveremo in Via Oscuro, andiamo adesso a tirare su i nuovi mostri! Ho
lasciato il mio intestino lassù, i muscoli delle braccia, qualcosa dei miei occhi. Andare via è stato
facile.


E via, il Pontormimo natalizio, finalmente, basta arrotolarlo adesso, mettermelo sotto l'ascella e
portarlo in città, trovare la via giusta, depositarlo. Sarà facile, un gioco da ragazzi sbarazzarsene.
Così è la vita, pare facile tanto si sogna nella nostra stupida vita. E intanto abbiamo eretto dell' altro,
una bufera di vita, di gioia come dicono a Scicli nel giorno pasquale, dovremmo cambiare umore,
inno, fiori d'abito, abbandonare gli abiti quelli scuri per esultare come quando vince la Juventus, o
perde il Milan: O è fine o è resurrezione, my love! E no, non sarà facile, non il sorriso verrà, sicuro
ma sarà doloroso come uno strappo come quando bambino, per orrore, ti strapparono bende adesive
dal ventre, ferocemente, un dolore a morsi, bocconi interi di carne, lo strappo che tira i punti della
sutura, d'una ferita che apre e rovescia fuori tutto come a vedersi dentro, viscere, cose molli che si
muovono dolcemente come quando dal pescivendolo vedi muoversi vano l'intestino vivo morente
marino, l'ho visto ma dopo, se riuscirai a vedere, se il dolore muta nel ricordo, allora sì, puoi anche
sorridere e cambiarti d'abito, non più i verdi, non i gialli finalmente saranno, almeno in questo che
vedo, adesso, i bronzi dimostreremo i bronzi tra i fiocchi, tra le grida, urla e, rideremo, no,
compagni? Saranno brecce, saranno fiumi agitati che inseguiranno nella, e non può essere
diversamente nella sua fine, nella meravigliosamente "semplice inarrestabile ascesa". Perché di
ascesa si tratta, di Terra d'origine, in queste strane forme di "originalità" dal folk e folclore, è
l'identità caricaturale o genuina e spesso entrambe insieme che i popoli si portano dietro nella
confusione del Villaggio globale, si canta insomma partendo da un contesto tradizionale i suoni si
fanno chiari e forti. Ci sono le Canzoni da bere, le Canzoni del fallimento, ci Sono ancora, come
una resurrezione e dipingo da un paese che fu chiaro Quello che è scombussolato, non è più
possibile comparire con aria disinvolta, a cavallo, ho formato i cavalli e adesso sto tirando su la
carrozza, non andremo da nessuna parte saremo in esposizione, semplicemente come se non ci
fossimo guardati nello specchio della morte, Oh, pittura! Non solo, ma no! Giro la mia dondolo.
Spengo la luce e me ne sto davanti alla finestra. Guardo. Niente guardo. Ho la tendina bianca che
non mi lascia vedere fuori ma io non sto guardando fuori. Me ne sto davanti ad una finestra, a
sentire.
Mi fa paura.
Non sarò io a fare il canto nonostante 'mane ho scelto gli indumenti con cura, una sciarpa rossa, un
ramo strappato, sogno di vita completa, un'emozione strana, no, i cavalli e la carrozza si stabiliranno
nell'immobilità di una cripta come mi succedeva secoli fa, pelle sopra pelle, forza d'ingrandimento
felice, sì, quando i geroglifici svolazzeranno di luce azzurrina e l'errore sarà evidente.


Desidero con impazienza inquieta di metter le mani agitate al cielo mentre intorno i fuochi, l'inno,
le urla tutto pare bruciare e solo adesso comprendo perché tutto sia così assolato, convulso,
precipitoso il nuovo inizio, smaniarsi per averla accanto, agitato agitato, canto morbido prima di
deporre le armi al suolo o malessere mai sottile che prende, incontrollata tensione, d'amore, i venti,
la nostra piccola storia di uomini cercavo e vedevo laggiù, in un camposanto, i volti, i cuori sbattuti
e svaniti, divorati e scomparsi nella terra, definitivamente questi cuori disciolti col tempo e resi
invisibili, questa smania di cuore, l'impazienza convulsa, speravo e non è successo niente, il corpo è
troppo ridicolo per contenere l'assedio di una miccia, nella smania non è andato via niente e si
dilatano i campi, s'avvistano madonne, si prega indignati dinanzi alle scope che spazzano non c'è
tempo per dormire, non vi dimora, smania a volte è troppo lento, questo tempo dio mio!, i binari
divelti che c'ingannano, a spaccare, a ruzzolare giù, al massimo della furia, il tempo senza di me,
smania perché rischiamo di arrivare in ritardo o perché viene sempre in tempo le mani, inizio ad
arrotare le grecchie e rodo e aspetto e m'alzo, che ci faccio qui? Chiamo? Quando, ci vuole coraggio
spesso, senti le campane? La resurrezione non avviene prima di mezzogiorno, è dono, è smanioso è
l'uomo- bersaglio, come andato in frantumi a metà della corsa, mi sono fatto la barba, mi sono visto
narciso come se bisogna credere a se stessi, ancora una rivoltella, per favore! Scendo giù e vado a
prendere la bologna, -mortadella- un etto, del pane e una birra, ci tirerò un rutto sopra, anche un
dente che scappa un proiettile che si fa le corse, troppo rapido laggiù, precipitosamente, di
quest'inferno efficace nella mia azione, smania, pena ovattata, sangue nuovo, sottomarina, il viso
perso nelle rughe, quel vago sorriso che ho imparato a memoria, quasi un verso, tuttavia, così le
dipinse, ho chiesto scusa 'mane, ma non era il 13? da un lato rinforzando non sarà canto del
Capricorno se sarà ventuno, uno svincolamento, solo sminuzzamento, continuo e continuo, piano
con i miei difetti seconda pelle, la testa difettosa i pensieri ciechi, impoverito e superficiale, un
imbecille d'attenzione, si fa di tutto smanioso di crederci ancora, in fondo al pozzo una sete che non
dico. Mi metto la coppola nuova e vado a prendermi un etto di bologna, del pane. Poi tornerò e sarò
in tempo a vedere Vivere, alla tele. Più fiducia di così? Un albero senza rami, così, d'una eccellenza,
smania, m'importuna e mi ci bevo una birra su, con disagio naturalmente.


La perfezione non c'è che dire.


La perfezione è in una canzonetta cantata da Daniel Johnston e arrangiata da Mark Linkous. La
perfezione non ci tiene alle parole e forse ha ragione Nicola, la perfezione non ha parole, non ci
sono parole forse, la perfezione può darsi in una scoreggia quando suona bene ed è profumata,
gradevole il suo odore insomma, è in qualsiasi corpo sano di mente o è questo mormorio che canta,
questo sedere a occhi chiusi, anche in un grumo può tenersi la perfezione. Io ingenuamente la vedo
nel mondo marino, nei suoi pesci, i crostacei, certi mostri poi mi dico che l'ho vista nel camaleonte
la perfezione o in una brioscia bene inzuppata in un liquido e che per incanto ti butta chissà dove e
in quale tempo, chissà! Il dolore può essere perfetto mentre la felicità difetta sempre di qualcosa,
blu Kline non era perfetto, no. Funeral Girl ad esempio è una canzoncina perfetta o i racconti
Trilobiti, sono perfetti, e perché no? Anche i miei piedi sono semplicemente perfetti, e anche le mie
grecchie, anch'io dunque ho qualcosa di perfetto, nell'esteriorità si può provare la perfezione,
sicuramente,
mai perfetto il pensiero che si produce mentre ci sono immagini perfette, il quadrato nero su fondo
bianco per esempio è un'opera perfetta mentre i difetti sono altre cose e non necessariamente la
perfezione è bella a vedersi se si vede, il silenzio non è mai perfetto fortunatamente. Una festa è
perfetta, per tutti, alcune volte bisogna darsi da fare per la perfezione, Must è un'altra canzoncina
perfetta, una vacanza non è mai perfetta e poi la perfezione a mio avviso non deve appartenere ad
un tempo, è, forse, anche un Forse a volte può mettere in tensione qualcosa di perfetto, qualcosa di
perfetto è la perfezione? E l'armonia è perfezione? O forse è una costruzione la perfezione, come un
formicaio o un nido d'api, un pennello può essere perfetto? E perché no? Un pensiero mai, forse la
morte ma non quella degli altri o la morte in e di qualsiasi cosa, no, perfetta è la morte quando io
sono morto, o è la vita? Forse è niente e forse dovrei studiare La Stella della Redenzione, forse sta lì
il segreto, ancora una volta nella resurrezione ma noi non abbiamo mai conosciuto nessuna
resurrezione e forse la parola resurrezione è la sola e perfetta, ci sono quasi con il Pontormino, per
esempio, per me uno dei colori - ma dicendo questo nego l'evidenza, la perfezione appunto -
perfetto è il giallo di cadmio medio - che poi è un arancione - 083 di 7 grammi, non è il più bello a
vedersi ma è perfetto, non c'è niente da dire, infatti. Credo d'essermi sbagliato, mi viene da ridere e
invece sorrido perché è difficile tener duro contro la perfezione. Bisogna essere assolutamente calmi
per la perfezione e, poi, forse non occorre darsi tanto da fare.


E' notte. Bevo un sorso d'acqua dalla bottiglia blu, Vigezzo, un sorso appena e cambio posizione,
così disteso nel divano, a panciallaria, cambio posizione perché così posso vedere meglio perché
questo lo so fare bene io e magari non sarò pronto con le parole, magari ho i moncherini nella mia
testa, tra le dita, nella mia lingua magari ma riesco a vedere bene perché ho due occhi magnifici io,
bastardo! Perché così scomodamente e anche se mi gira la testa posso vedere i fuochi e sentire i
cani, non sentite i cani, fuori? E' una cazzo di notte mentre in Ortigia credo che faranno festa,
ancora Santa Lucia credo, forse esporranno il grande quadro del Caravaggio nella vera chiesa di
Santa Lucia, lì, a piazza Duomo, mi sarebbe piaciuto stare lì oggi pomeriggio, al vespro quando
diversamente mi ritirerò, semmai avrò il coraggio, losco per la periferia e le campagne in questa
pianura del cazzo. E nella notte, vedo i cani, sono qui, davanti alla mia porta, aperta, la luce del faro
accesa proiettata verso la tela, colorata dove sta Resurrezione, tra i fumi tra quel poco che so, di me
adesso, di questa notte improvvisa, inaspettata, perdono per tutto quello che non so, per questa
notte, per tu, cane che guardi, mi sono messo così perché così riesco a controllare dall'alto quella
vertigine generosa che m'illude, d'una resurrezione, d'una vita messa così male, disadattata, al
mondo, metto a tutto volume il dischetto, Gala Mill, sì, ho le cuffie, non riesco a sentire nient'altro
così, canto, non posso ballare così disteso e poi perché dovrei?, perché questo sentire soffocato
questo cantare strozzato? Vai via, cane! Un colpo di tosse e scappa, vado incontro verso la
fantastica fontana, ne avevo registrato il flusso, delle lacrime secondo leggenda, una via di fuga, è
finita la canzone, oggi sarà pur giorno, sarà sera e di nuovo notte. Di nuovo. Sono migliaia le teste
che devo tornire. Sento i muscoli della mia faccia tirati, sento i nervi tesi, sconvolte le orbite con
tante teste così, poi nella notte ricordo benissimo ogni testa che mi ha attraversato, che ho visto
questo dono, questo imbarazzo a cui devo prontamente rispondere, sempre, così sono stato eletto,
'fanculo! 01:24, Words from the executioner to Alexander Pearce, coretto please! Colpo di tosse
ancora, no, da questo lato decisamente non riesco a mandare giù quest'altro mondo, questi lampioni
come cipressi di piombo scatenano e franano adesso che tutto è cartone, stiro i muscoli, disfo questo
volto paradosso tosse con tosse, cazzo passerà questa notte, dimenticheremo questa notte, all'attacco
del mondo. Spero di riposare giù, nell'isola. Spero di dormire, di finire senza parole finalmente, di
buttare giù questa testa, questi cocci, d'andare nella notte come i bimbi dell'infero, come fossi
gemello, nella notte che mai qui è gialla mai qui è verde che scoppia la notte che possa vagare senza
testa così come ti ho visto così come diversamente ti ho vista bambina con quattro, migliaia di teste
adesso e dopo, quei cani li riconosco cosa cazzo fate ancora qui?, andate a dare il culo voi, cani
d'educazione, ringhiosi paurosi che divorano che vivono intorno ai morti che sanno di questi rumori
che solo io sento in questo momento, e tossisco ancora, sputo, mi piscio addosso, non l'avevo mai
fatto prima. E' giallo.


Basta, siamo quasi pronti, si parte, ancora un Natale, ancora una sera con gli occhi infuocati, rossi,
stanchi. Non riesco a metter su le mani, non per pregare, non per aprire porte, non per stendere luce
o diffondere le tenebre, ormai ho fatto quanto potevo in un anno così, difficile, straordinariamente
violento, efficace come se avessi vent'anni, a modo suo unico, no, davvero non riuscirò a
dimenticare questo anno della mia stupida vita. Ho gli occhi gonfi. Ho gli occhi malati, ho gli occhi
belli e terribili, ho gli occhi che bruciano come se fossero di fuoco, ho occhi che piangono, ho occhi
che sanno sorridere come pochi occhi, ho occhi cavi, bui, a vuoto, ho occhi che non vedranno più
quest'anno, lungo, lunghissimo, difficile così difficile che non ne vuole sapere di finire così,
semplicemente così, no! Volto le spalle alla Resurrezione, a Graz, in Ortigia è festa, credo, in
Ortigia sento le ali nere adombrare la piazza, il Corso dove amavi correre quando ti pareva finita la
vita così, credevo di morire, d'altronde la panchina si trova davanti al ponte, in via dei Mille, il sole
splendeva in primavera e forse anche adesso, anzi, sicuro, anche adesso che è sera, è quasi notte,
non può non essere così la notte, vivrò, sì io vivrò nonostante tutto, nonostante la mia caduta
rovinosa, nonostante la brutale stanchezza, vivrò nonostante la rivoltella, nonostante il petto cavo,
nonostante, questo grande silenzio. Vado giù. Scivolerò giù. Non so come scivolerò, ricordo diverse
cadute, ricordo come ho sradicato ogni possibilità giù, di vita, di futuro, di morte, di ogni cosa,
andrò a Dublino, andrò dove non posso abitare dove sarò straniero completamente per diffondere la
mia ombra, per sparire come un'ombra nella notte, dove fa buio, dove posso finalmente chiudermi,
posso impedire alle mie parole convulse di dire, di suonare patetiche, di suonare semplicemente.
Scivolano lacrime d'un anno. Provo ad urlare ma le note che le mie grecchie ascoltano sono potenti,
non s'ode nulla non dico nulla, A.I.U.T.O. un augurio a tutti, un colpo in testa, uno sbadiglio e no,
questa sera o notte non so ballare, non ho le forze di danzare come ho fatto l'altra notte, e così
s'iniziano, Case, d'altronde fu in una notte come queste che ravvidi e comparvero case, che mi
dissero di quanto poi sarebbe successo, con pioggia, la straordinaria notte di pioggia dove avrei
affogato l'anima, ma io non credo nell'anima né nei morti, non nella resurrezione dei morti, non
credo nelle vite, a niente credo. Non me. Non nei miei muscoli o braccioli della dondolo perché la
dondolo è solo nella mia testa, non nei miei capelli, non nelle parole degli altri a nessuno credo e
cosa dovrei credere, allora? La scoria.


Smania.
Ho lasciato lì allo scoperto degli occhi tutti i bambini della notte, eterni. Fa bene il suo aspetto nero,
sinistro a vuoto di testa rammendo, il suo bimbo. Lei sorride come imbarazzata fra tanta luce, non
l'immaginavi, no? I bimbi miei avevano un nome possibile. Uno il tuo, la Grazia. I nostri, una
bambina e un bambino, gemelli: noi, gemelli al mondo;
Avresti mai creduto. Scorrono le luci della notte attraverso il finestrino in corsa d'un treno. Pare
lontano. Il paesaggio remoto, la vita la stessa cosa. Le luci della notte svelano i brividi sottili di chi
non sta qui, presente, con vita, qui vi lasceremo, incerti della sorte, possibile la notte, col buio
privato di stelle, brillo, per te, amore mio.

 

Francesco Lauretta


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