Francesco Lauretta

Wherever

centro ricreativo di quartiere.

 

Wherever, l’idea arriva da lontano, dall’11 settembre, o sfogliando una intervista di Ricardo Villalobos letta recentemente, o semplicemente ascoltando i consigli del mio gemello artigiano, o imbianchino -quella nobile arte di decorare e dare colore alle nostre case-, o ancora e ancor più semplicemente per un caso ricordando L’atelier di Gustave Courbet, quadro manifesto del realismo. Wherever è una mostra di un solo giorno ed è una festa o sagra sociale del cannolo in una via di Modica. Una volta gli artisti, tanto tempo fa ricordando, non facevano delle vere e proprie mostre come le intendiamo adesso e spesso le opere erano esposte singolarmente o a piccoli gruppi in spazi pubblici o privati. Ogni mostra era un evento. Con Wherever ho creduto opportuno dimostrare in una via del mondo una sola opera-evento. Accennavo dei consigli di mio fratello gemello imbianchino. Lui, spesso, ama ripertermi che i pittori dovrebbero esporre solo in provincia, nei piccoli paesi dove è possibile ancora avere un contatto con la gente. I pittori in città, dice Michele, qui, in Italia e con tanto sistema, sono ridicoli e spesso fonte di pregiudizi dagli addetti ai lavori pertanto è meglio rivolgensi alla gente di paese che, a mio avviso –a suo avviso-, possono comprendere e accogliere la generosità del pittore a mostrare quadri che possano informare ancora della condizione dell’uomo e della sua destinazione. D’altronde la pittura ha raggiunto prima di ogni altro linguaggio le vite degli uomini. Io, per esempio, ho l’immagine della Sacra Famiglia con il ramoscello d’ulivo che proteggeva il letto dei nonni che m’informava del fare degli uomini, creativi. Il quadro che presento mostra degli uomini in costume intorno ad un cavallo addobbato a festa, dei cannoli. Questo quadro è stato concepito non tanto per motivi politici, se tanto incuriosisce il fatto di avere dipinto dei cannoli siciliani a mo’ di spirito santo sopra le teste dei mascherati, o come aureole, ma pensando a quella splendida opera “letteraria” di Max Ernst, Una settimana di bontà; o per avere letto l’ultimo romanzo di Don Delillo, L’uomo che cade perché mi ha sorpreso il fatto che dopo la tragedia delle due torri molti per superare lo shock frequentassero centri ricreativi di quartiere dove era possibile seguire corsi di ogni genere, giocare a domino o a ping pong, aiutare gli anziani eccetera. Alla fine, pensavo, in un mondo che ci vuole omologati la gente, in casi di pericolo o di urgenze d’ogni tipo, si rivolge a se stessa, ci s’informa nel quartiere e il quartiere diventa un micro mondo, o unico mondo di sopravvivenza e questo micro mondo lo si ritrova dappertutto, a Modica come nel centro di New York, o a Basilea come ho avuto modo di partecipare in occasione di una Fiera d’Arte Contemporanea, una festa di quartiere, fantastica! Così intorno ad un piatto di pesce, discutendo con Corrado, e poi viaggiando per le vie di campagna ascoltando un CD di canzoni folcloristiche è venuta l’idea di Wherever. Mi ha sorpreso poi che uno come Ricardo Villalobos, uno che crea eventi nei club in ogni dove, affermi che sia giunto “ il tempo di ritornare di nuovo alle melodie. Basta con la minimal di un certo tipo. Ci sta che in un set la monotonia possa avere la sua parte, per cedere il passo alle melodie, o a un ritmo differente. Ma non si può continuare a proporre set che oltre a essere monotoni sono noiosi”; e, poi: “Il ritmo è un linguaggio universale, mentre le melodie appartengono a culture specifiche”. Fu così che dissi a Corrado di fare questa mostra. Di occupare il quartiere a festa. Di esporre un solo e grande quadro “familiare”. Di nascondere dentro le case, nei piani superiori, dei gruppi locali vestiti in costumi d’epoca che suonassero opere “ a memoria” –almeno all’inizio dell’evento per poi versarsi nelle vie in festa-, di distribuire cannoli siciliani, e vino, e altri prodotti di buona creanza, e che si ballasse e si versassero parole e risa, una festa di quartiere per ricreare qualcosa che ha a che fare con le cose umane, d’intesa popolare.

 

Francesco Lauretta